Donne. A 30 anni si perdono l’88% degli ovuli. L’eterno dilemma dell’orologio biologico

orologiobiologicoQuello dell’orologio biologico è un ticchettio snervante che ognuna di noi si porta dentro ogni giorno e che diventa sempre più rumoroso con il passare del tempo.

Ma arriva un momento in cui non si può più ignorare la realtà e i risultati delle ricerche degli ultimi anni sulla fertilità delle donne sono come uno schiaffo in pieno volto: a trent’anni l’88% degli ovuli muoiono, e a quaranta lo scenario è anche peggiore.

E’ stato uno studio scientifico della St. Andrews University di Londra, nel 2010, a fare l’inquietante previsione. Ricordate?

I ricercatori inglesi monitorarono la produzione di ovuli di un campione di 325 donne durante tutto il periodo fertile, dalla nascita alla menopausa. Il verdetto fu quanto meno preoccupante: alla nascita gli ovuli sono circa due milioni mentre a quaranta anni le possibilità di concepimento calano fino al 3%, senza contare la selezione naturale, a causa della quale solo alcuni ovuli giungono a piena maturazione.

Per l’occasione Tom Kelsey, ricercatore alla St. Andrews, commentò la scoperta con una frase tanto realistica quanto infelice: “Ci sono donne che aspettano la prossima promozione o di incontrare l’uomo giusto e intanto ignorano quanto drasticamente declini la loro riserva ovarica dopo i trent’anni”.

Gli stili di vita sregolati e nocivi che si tende ad assumere in giovinezza non portano gravi danni se non dopo aver compiuto 25 anni. Da lì in poi un’inevitabile declino biologico ci attende. Statistiche a parte, i ritmi di oggi raramente permettono di sposarsi e fare figli prima dei trenta. Gran parte del problema sta nella difficoltà di trovare un’occupazione fissa e sufficientemente remunerativa.

Ne sanno qualcosa studentesse, stagiste, le stesse ricercatrici e tutte quelle che alla soglia degli –enta (o peggio ancora degli –anta) sono costrette ad accontentarsi di un part time di ripiego. Il resto del lavoro lo fa l’incredibile crisi economica nella quale siamo intrappolati, che fa terra bruciata nei piccoli centri e condanna i metropolitani alla legge del più forte.

Siamo abituate a pensare, soprattutto tra le non più giovanissime, che il periodo più bello e stimolante per una donna sia quello che va dai 25 ai 35 anni, ed è facile intuirne i motivi. Uno fra tutti, la speranza di sperimentare la gravidanza e la maternità, di dare un senso all’essere donna, lasciandosi guidare dai cambiamenti attraverso una nuova fase della vita, quella per cui tutte sono naturalmente predisposte.

Ma quand’è che quest’idea smette di essere rassicurante e diventa un’ossessione?

Rendersi conto del tempo che passa ci scaraventa in una spirale di insicurezze, di interrogativi inevasi che ci costringono alla fretta. Ma aspettare il momento e l’uomo giusto, la sicurezza economica e la maturità psicologica adatta prima che il tempo si esaurisca è realmente possibile o faremmo meglio a fare marcia indietro e fare ordine tra le nostre priorità?

Le parole di Kelsey, a distanza di anni, fanno ancora riflettere. Sembra che la vita delle donne sia un continuo compromesso tra carriera, realizzazione personale, maternità, relazioni.

Ci piace pensare di poter fare tutto e non smettiamo mai di combattere per questo diritto. Ma a volte non si può far a meno di chiedersi “Ci stiamo raccontando una favola?”.

di Simona Scardino

 

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