L’olio italiano diventa cinese. Cronaca di un Paese in (s)vendita

sagraoilIl Gruppo oleario toscano “Salov”, proprietario dei marchi Sagra e Filippo Berio, ha venduto la maggioranza al Gruppo cinese “Yimin”, una sussidiaria del Gruppo “Bright Food”. 

La transazione prevede che il colosso del comparto alimentare di base a Shanghai, con un giro d’affari di 17,3 miliardi di dollari, subentri nel controllo della Salov agli storici azionisti della famiglia Fontana, che tuttavia mantiene quote di minoranza, decisa così a rinnovare il proprio impegno per lo sviluppo dell’azienda, accompagnandola anche in questa fase di ulteriore crescita internazionale.

“Il nostro obiettivo – ha commentato un portavoce del gruppo Bright Food – è di mantenere l’identità e la tradizione italiana della Salov così che possa rimanere fedele alla propria missione di selezionare, produrre e distribuire la migliore qualità di olio nel mondo, mantenendo la produzione in Italia. L’accordo che abbiamo siglato proietta l’azienda verso un’ulteriore fase di sviluppo, grazie alle opportunità di crescita rappresentate dal mercato cinese e al possibile consolidamento in quei mercati dove l’azienda ha già una stabile consistente presenza. Tutto questo unitamente al mantenimento del forte presidio del mercato italiano, primo al mondo per il consumo di olio d’oliva. Questo ci consente fin d’ora di garantire a tutti i dipendenti della Salov una nuova fase di sviluppo con ottime prospettive di crescita”.

Con la vendita della maggioranza del Gruppo oleario toscano, supera i 10 miliardi il valore dei marchi storici dell’agroalimentare italiano passati in mani straniere dall’inizio della crisi, che ha favorito una escalation nelle operazioni di acquisizione del Made in Italy a tavola. “Con questa operazione il mercato dell’olio di oliva made in Italy diventa sempre più straniero dopo l’acquisizione di Bertolli, Carapelli e Sasso da parte del fondo statunitense “CVC Capital Partners”, che lo ha “strappato” al gruppo spagnolo SOS. Una esclation che purtroppo non riguarda solo l’olio poiché nel 2014 l’antico Pastificio Lucio Garofalo ha siglato un accordo preliminare per l’ingresso nella propria compagine azionaria, con il 52 per cento del capitale sociale, di “Ebro Foods”, gruppo multinazionale spagnolo che opera nei settori del riso, della pasta e dei condimenti, quotato alla Borsa di Madrid” rivela la Coldiretti.

La presenza cinese nell’agroalimentare in Italia ha un precedente nelle campagne toscane con l’acquisto nel 2013 da parte di un imprenditore cinese della farmaceutica di Hong Kong per la prima volta di un’azienda vitivinicola agricola nel Chianti, terra simbolo della Toscana per la produzione di vino: l’azienda agricola “Casanova – La Ripintura”, a Greve in Chianti, nel cuore della Docg del Gallo Nero. salov

Non solo solo le holding cinesi a fare affari nel nostro paese; infatti, nello stesso anno c’è stata la cessione da parte della società Averna dell’intero capitale dell’azienda piemontese Pernigotti al gruppo turco Toksoz. Sempre nel 2013 si verificato anche il passaggio di mano del 25 per cento della proprietà del riso Scotti ceduto dalla famiglia pavese al colosso industriale spagnolo Ebro Foods.

Nel 2012 la “Princes Limited”, una controllata dalla Giapponese “Mitsubishi”, ha siglato un contratto con “AR Industrie Alimentari SpA”, leader italiana nella produzione di pelati, per creare una nuova società denominata “Princes Industrie Alimentari SrL”, controllata al 51 per cento dalla Princes, mentre il marchio Star passa definitivamente in mano spagnola con il gruppo “Agrolimen” che ha aumentato la propria partecipazione in “Gallina Blanca Star” al 75 per cento. Infine, è volata in Inghilterra la Eskigel che produce gelati in vaschetta per la grande distribuzione.

Sicuramente c’era una volta il made in Italy, ma oggi? Ormai le notizie di cessioni ai colossi stranieri si susseguono a ritmo tanto vorticoso che si fatica a stargli dietro. Oggi, complice un’economia in fase di stagnazione, i nostri fiori all’occhiello – sempre di più – finiscono in mani straniere uno dopo l’altro. Dall’industria alla moda, passando per l’agroalimentare, il 2014 è un tragico anno per tanti marchi storici italiani passati in mano straniere per effetto della crisi economica.

Leggiamo i numeri: soltanto dal 2008 al 2012 sono 437 aziende italiane di ogni settore sono passate nelle mani di acquirenti stranieri, i quali hanno speso circa 55 miliardi di euro per portare a casa i marchi italiani, ma sono soldi che vanno alle vecchie proprietà, non portano valore aggiunto alla comunità e, in ogni caso, non valgono certo la perdita dei gioielli di famiglia. Negli ultimi due anni la tendenza non sembra affatto aver invertito la rotta; anzi, come abbiamo appena visto, sempre più aziende diventano di proprietà non italiana.

Vendere è forse di vitale importanza per gli imprenditori, ma in tutto questo discorso si sente l’assenza dello Stato, che nulla sembra volere e potere fare per arrestare la dissoluzione del Made in Italy e, anzi, vessa sempre più le aziende con una pressione fiscale a livelli record. In giro per il mondo ci vantiamo tanto della nostra moda, dei nostri cibi e della nostra creatività, ma ormai (come nel caso della fuga dei cervelli) tutto questo è al servizio di proprietà straniere.

La fuga del Made in Italy dall’Italia riguarda tutti i comparti economici. Considerato tutto questo, siamo ancora sicuri di comprare lo stile italiano quando portiamo a casa uno di questi prodotti?

di Arianna Orlando

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