Isis. Ancora scontri in Iraq

Isis fighters, pictured on a militant website verified by AP.Durante una conferenza stampa congiunta con l’omologo iraniano Mohmmd Javad Zarif, tenutasi domenica a Baghdad, il Ministro degli Esteri iracheno Hoshyar Zebari ha chiesto sostegno internazionale per la lotta dell’Iraq contro i militanti ISIS, che stanno minando “l’intera regione e la pace e la sicurezza internazionale”, mentre le forze irachene cercano di cancellare più aree dei terroristi.

Dai colloqui è emerso l’accordo totale tra Iran e Iraq per creare un fronte comune contro i jihadisti e velocizzare gli sforzi per creare un governo che contribuisca a placare le tensioni politico-confessionali.

Il Paese “ha bisogno di aiuto e sostegno da parte di tutti: tutte le forze contro il terrorismo” ha declamato con vigore Zebari, per poi aggiungere “L’Iraq non ha bisogno di dispiegamento delle truppe straniere, così come non c’è carenza di uomini che combattono”. In questo momento infatti l’esercito iracheno, sostenuto da migliaia di volontari, è impegnato in aspri combattimenti con i militanti ISIS per spingerli fuori delle aree acquisite.

Zarif ha dunque puntualizzato che l’Iran starà dall’Iraq nella lotta contro i militanti ISIS, le cui postazioni nel nord dell’Iraq sono state pesantemente bombardate da raid aerei statunitensi dall’8 agosto, consentendo in questo modo alle forze curde di riprendere il controllo della zona Qaraj. Secondo fonti delle opposizioni siriane, nell’ultima settimana sono morti circa 350 jihadisti e 170 militari siriani, ma si tratta di un bilancio parziale.

Anche Domenica, le forze irachene hanno respinto un attacco militante sulla raffineria di petrolio Baiji vicino alla città di Tikrit, uccidendo decine di militanti. I terroristi hanno minacciato tutte le comunità, tra cui gli sciiti, sunniti, curdi, cristiani, yazidi curdi ed altri, mentre continuano i loro progressi in Iraq, continuando nella loro sanguinosa avanzata, che ad oggi ha seminato morte e distruzione nella regione siriana di Raqqa.

La minaccia inoltre interessa la sopravvivenza stessa di migliaia di turcomanni sciiti nella regione irachena di Salaheddin. I fondamentalisti hanno già occupato un territorio grande quanto l’Ungheria tra Iraq e Siria e conquistato la base aerea di Tabqa, ultima sacca di resistenza delle forze di Damasco in una zona sotto il controllo dell’Isis dalla primavera del 2013.

Ma spieghiamo cosa sta succedendo in Iraq. Nel sud della città contesa di Kirkuk, da settimane in mano alle milizie curde, migliaia di turcomanni della cittadina di Amerli attendono soccorsi militari e umanitari che li liberino dall’assedio, in corso da due mesi, dei jihadisti dell’ISIS. I turcomanni sciiti sono in quella regione una minoranza due volte: non sono arabi e non sono sunniti.

Ad Amerli, al centro delle attenzioni Onu, non ci sono solo turcomanni sciiti ma anche sunniti. Abdel Rauf Bayati, membro del consiglio amministrativo di Suleiman Bek, cittadina turcomanna assediata dallo Stato Islamico, ha dichiarato “Siamo uniti contro l’aggressore e non distinguiamo tra scuole religiose”.

Una cosa soltanto va precisata. Secondo un’inchiesta condotta dal “Manifesto”, ci sarebbe l’ipotesi che il governo Berlusconi, nel 2011, abbia usato parte dell’arsenale della Jadran per inviare armi alle fazioni anti-Gheddafi, violando così l’embargo stabilito dalle Nazioni Unite (26 feb­braio 2011).

Anche la magistratura di Tempio Pausania aveva avviato un’indagine, fermata attraverso l’opposizione del Segreto di Stato sulla destinazione dei container di armi prelevati a Santo Stefano. Avviati con tanto di scorta di mezzi militari sui traghetti passeggeri Sharden e Nuraghes, con destinazione Civitavecchia. Le armi erano falsamente accompagnata da documenti che descrivevano la mercanzia come “motori” e “parti di ricambio”.

Gli esperti delle Nazioni Uniti, sposano in pieno i dubbi del Manifesto e indagano sia sulle violazioni dell’embargo in Libia sia sulle armi inviate illegalmente dall’Italia in Iraq.

di Simona Mazza

foto:  theguardian.com

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