Intervista a Riccardo Rossi, volontario presso una Casa Famiglia e giornalista di “La Gioia”

Riccardo-e-Aster2-200x300Oggi offriamo ai nostri lettori la preziosa testimonianza di Riccardo Rossi, volontario presso una casa famiglia a Pedara, paesino alle falde dell’Etna.  

Riccardo, dopo un trascorso da giornalista “rampante” si è convertito alla causa del sociale e da allora dedica la sua vita a donare amore e gioia al prossimo. Un amore ed una gioia che gli derivano, non dalle cose materiali, ma dalle persone che lo circondano e che nonostante mille difficoltà hanno una sana voglia di vivere.

Nell’ambito del tuo lavoro, che sembra più una missione, operi con l’anima o riesci a scindere Riccardo dentro e fuori le mura della struttura?

Io sono un po’ pazzarello e come ogni persona, anche Riccardo ha comportamenti diversi a seconda del contesto. In casa famiglia “Oasi della Divina Provvidenza”, dove siamo tutti volontari e viviamo di Provvidenza, in tante occasioni è la parte migliore di me che agisce. Quando ti trovi ad avere a che fare con malati terminali, persone sofferenti, persone disabili in quei momenti “esce” il Riccardo migliore. Ognuno di noi ha un lato buono, io ho solo la fortuna di vivere in un contesto che mi educa all’amore.

Chi arriva in casa famiglia e perché? Può essere considerato un termometro sociale e se sì, cosa registra?

In casa famiglia arriva tanta gente, qui accogliamo le persone che nessuno vuole. Da noi ci sono persone che vivevano in strada, immigrati, ragazze madri, alcolisti, disabili sia mentali, sia fisici, famiglie. I motivi sono tanti, chi scappa da un paese in guerra o solamente povero, chi ha una dipendenza, chi rimane senza lavoro e senza casa, una donna che veniva maltrattata, anziani soli, disabili rimasti senza famiglia. I motivi sono veramente tanti, ho fatto solo alcuni esempi.

Sicuramente abbiamo il polso delle situazioni sulle nuove povertà. Registriamo molte famiglie italiane in difficoltà, un aumento notevole di persone che perdono il lavoro, la casa. Ci sono sempre più persone che finiscono in psichiatria e tanti anziani che rimangono soli. Tanti gli immigrati che scappano dai loro paesi con la speranza di una vita migliore. In breve, rispetto a qualche anno fa ci sono molti nuovi poveri italiani, tante persone emarginate e un numero cospicuo di stranieri che speravano in una vita migliore e invece trovano tante difficoltà e chiedono aiuto.

Mi potresti descrivi una tua “giornata tipo”?

Io, la mattina mi sveglio solitamente verso le 07.00 e ho il compito di svegliare i ragazzi che si occupano di chi è disabile fisico. I giovani che sveglio sono affetti da patologie mentali, ma sono proprio loro che con tanto affetto si occupano di chi ha problemi fisici. Anch’io ho il compito di accudire due disabili: uno è siciliano e l’altro è pachistano. Li devo lavare, cambiare loro il pannolone e ad alcuni di essi somministro anche le medicine che gli hanno prescritto i medici.

Ora, un giorno sì e un giorno no, devo fare un’operazione per fare andare in bagno (uso il peristeen) un ragazzo tetraplegico, per fare questo ho dovuto fare un corso di specializzazione in ospedale poco tempo fa. Poi abbiamo la colazione, io devo somministrare le insuline ai diabetici. La mattina poi mi mandano a fare vari servizi, vado a prendere il pane per sessanta persone (tanti sono gli accolti da noi ora) vado in farmacia, in vari uffici pubblici, sovente faccio la spesa al supermercato. A ora di pranzo mi occupo nuovamente delle insuline, poi servo a tavola e imbocco un vecchietto disabile. Dopo mangiato vado a vedere i bidoni della spazzatura, se pieni li devo portare nel punto di raccolta (sempre nel perimetro del giardino di casa famiglia). In genere nel pomeriggio non ho impegni fissi e scrivo le buone notizie: articoli, recensioni, foto notizie. Nel corso della giornata vado a parlare più volte con una nuova accolta disabile, che è spesso allettata.

Tanti sono gli imprevisti, donazioni di alimenti e bisogna andarli a prendere anche la sera sul tardi, recuperare ragazzini da attività sportive, etc. La sera, dopo le immancabili insuline aiuto il vecchietto a cenare. Nella serata leggo libri o scrivo, se arrivano chiamate, devo uscire per recuperare cibo che rimane nei ristoranti. Possono capitare anche emergenze notturne di persone che stanno male e spesso sono chiamato anch’io. Le giornate tipo variano a seconda degli accolti e se in quel momento c’è un malato terminale, possono essere necessarie (solo la mia parte) anche sei ore al giorno, oltre tutti gli altri impegni.

Come in tutte le Case famiglia, anche nella tua, ci sono persone “Difficili a 360°”. In che modo si svolgono le eventuali attività di recupero? Si tratta di attività individuali o di gruppo?

Il percorso più importante per recuperare è una persona è volergli bene ed essere disponibile. Nel momento che una persona accolta si sente amata e curata, accadono miglioramenti sorprendenti. I medici poi stabiliscono la cura, nel caso di patologie fisiche o mentali. Il lavoro è una delle più grandi armi per recuperare una persona. Ogni percorso è individuale ed è scelto dal responsabile della casa famiglia.

 Quali sono le prospettive per il futuro di un individuo che esce dalla casa famiglia?

Dipende da come la persona accolta reagisce. C’è chi dalla prostituzione ora è missionaria, c’è chi si è reintegrato nel tessuto lavorativo c’è chi è tornato in strada. Qui c’è la possibilità di ripartire, ma bisogna mettere il proprio si!  

Mi parli del tuo giornale “La Gioia “? Quali sono i suoi obiettivi e target?

La Gioia è un giornale di buone notizie che vuole ispirare gesti solidali. Nasce come braccio operativo della mia associazione La Gioia Onlus che vuole, tramite la comunicazione, ispirare percorsi di carità. L’idea è di far conoscere le associazioni che ogni giorno aiutano persone, i giovani che fanno volontariato, i rappresentanti delle forze dell’ordine che salvano vite, le storie di disabili che gioiscono alla vita. In generale di rendere visibile il tanto bene che esiste e di indurre a compierne. Il target sono i giovani, gli insegnati, i sofferenti, i carcerati, i ricoverati, i diversamente abili, un po’ tutti, in particolare per chi ha dei momenti difficili. Sono partito con un piccolo giornalino “La Gioia”, ora ne ho due, l’altro si chiama “La Speranza”, sempre di buone notizie, ed è arrivato a oltre 20.000 copie. Ora ho anche una pagina facebook che ha quasi 5000 mi piace. Collaboro con Golem informazione, dove ho una rubrica molto letta di buone notizie e da poco ho anche uno spazio settimanale su radio Kolbe ogni mercoledì alle 22.00, dove scegliamo cinque buone notizie e si può ascoltare via web.

Sono partito qualche anno fa da solo, ora ho tanti volontari che mi aiutano, riesco a raggiungere decine di migliaia di persone e sono sempre più i gesti solidali d’individui che ispirati dalle buone notizie compiono piccole opere solidali. C’è chi tramite La Gioia ha iniziato il giro notturno per incontrare i senza fissa dimora, chi ha fatto delle donazioni di alimenti alla casa famiglia dove vivo e tanti altri piccoli gesti. Un giovane da me interrogato dopo una mia testimonianza in una scuola mi disse: “ Tutti queste belle azioni mi stimolano a compierli ”. Il motivo de La Gioia è appunto questo, far nascere percorsi solidali.

Si può ancora gioire nonostante tutto?

Sicuramente sì, i nostri mezzi di comunicazione ci fanno vedere solo il negativo, invece esistono tante cose positive. Più vado avanti nella ricerca di buone notizie e più ne scopro, c’è tutto un mondo di persone che aiuta il prossimo e di cui si sa poco e nulla.

 Che messaggio vuoi lanciare a chi sta dentro la casa famiglia e di riflesso a chi è fuori e nonostante tutto vive male la sua esistenza?  

Non disperate mai, c’è sempre una luce anche nel tunnel più nero. Non guardiamo sempre il bicchiere mezzo vuoto, ma impariamo a guardare il mezzo pieno. Ho conosciuto una persona con la Sla, immobile nel letto, che trasmetteva voglia di vivere e confortava chi era triste. Potrei portare tanti esempi di persone con vite difficili che erano gioiose e piene di vita. Il vero segreto per vivere bene è aprirsi all’amore, avere nel cuore la speranza e di essere noi il cambiamento che vorremmo nel mondo. Basta lamentarsi di ciò che non abbiamo, gioiamo per il dono della vita.

di Simona Mazza

2 Risposte

  1. Filomena

    Chi si china ad aiutare l’altro ha un cuore grande. Grazie per questa lezione di vita che spero possa aiutarmi a riflettere.

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  2. Maria Savasta

    Robert Green Ingersoll (1833-1899) scriveva in The Children of the stage (1899): “The hands that help are holier than the lips that pray”, “Le mani che aiutano sono più sante delle labbra che pregano”.
    Ne sono convinta…!
    Grazie a nome degli ultimi e piccoli della terra per quello che fate

    Rispondi

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