Smart Working: un’opportunità anche fuori dall’emergenza

L’attenzione verso modalità di lavoro “smart” è cresciuta in Italia dopo il coronavirus, ma come emergeva  già nel 2018  dai risultati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano il numero dei lavoratori agili in Italia già toccava quota 480mila. 

Capire il significato dello Smart Working non è immediato e nemmeno così intuitivo. Adottare lo smart working non vuol dire soltanto lavorare da casa e utilizzare le nuove tecnologie: è anche, e soprattutto, rivedere il modello di leadership e l’organizzazione, rafforzare il concetto di collaborazione e favorire la condivisione di spazi. lo Smart Working è un modello organizzativo che modifica il rapporto tra individuo e azienda, proponendo autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento di obiettivi concordati e presuppone il ripensamento “intelligente” delle modalità con cui si svolgono le attività lavorative anche all’interno degli spazi aziendali, rimuovendo vincoli e modelli inadeguati legati a concetti di postazione fissa, open space e ufficio singolo che mal si sposano con i principi di personalizzazione, flessibilità e virtualità.

Concettualmente lo smart working è molto diverso dal telelavoro.  Il telelavoro consiste nel prestare l’attività lavorativa presso il proprio domicilio o in un luogo differente rispetto alla sede aziendale, ma comunque “fisso” e con il prevalente supporto di strumenti telematici/informatici per consentire le comunicazioni a distanza fra lavoratori, sede ed eventuali referenti esterni. Mentre nell’ottica del lavoro “agile” l’ ufficio diventa ‘aperto’ e “variabile” e lo spazio lavorativo non è “predefinito” ma  può esser sia i locali aziendali che qualsiasi spazio che favorisce la creatività delle persone, genera relazioni che oltrepassano i confini aziendali, stimola nuove idee e quindi nuovo business.  

La normativa lo definisce “l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” e fa esplicito riferimento alla possibilità di “svolgimento della prestazione lavorativa, basata sulla flessibilità di orari e di sede e caratterizzata, principalmente, da una maggiore utilizzazione degli strumenti informatici e telematici, nonché dall’assenza di una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti anche al di fuori dei locali aziendali“.

Un altro aspetto da sottolineare lo Smart Working è un concetto che riguarda le organizzazioni (profit e no-profit) e non il singolo professionista freelance che, da sempre, è abituato a lavorare in mobilità, con orari flessibili e utilizzando software e applicazioni che gli consentono di svolgere la professione in maniera “nomade”.

Anche se lo Smart Working non può essere la soluzione per “bloccare” il dilagare dell’epidemia,  in Italia è diventato famoso  grazie a un decreto attuativo approvato d’urgenza che ne ha prevista l’applicazione, anche senza un accordo preventivo con i dipendenti, così come richiesto dalla Legge sul lavoro Agile del 2017. Come rileva l’indagine “Infojobs Smart Working 2020”, realizzata a marzo 2020 su un campione di 189 aziende e 1149 candidati, il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai collaboratori di proseguire il lavoro da remoto.

Guardando alle criticità riscontrate, innanzitutto spiccano i problemi di tipo organizzativo (44%) per mancanza di supervisione e controllo sul lavoro del personale, e di tipo relazionale (42%), a causa dell’assenza del confronto quotidiano e del lavorare fianco a fianco. La tecnologia è stata indicata, invece, solo dal 14% delle aziende, ovvero da quelle che hanno risposto all’emergenza ma non erano preparate a gestirla a livello di strumenti e competenze interne. 

Guardando ai lavoratori, il 79% ha dichiarato di averlo adottato per la prima volta, mentre per il 14,5% sono cambiate solo le modalità di fruizione e per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima. Il 38% del campione intervistato si è dichiarato fortunato di poter evitare gli spostamenti in questo momento, mentre il 27% sta apprezzando il fatto di avere a disposizione un ufficio “virtuale” dove è possibile continuare a lavorare come prima.

Solo il 7% ha detto di essere meno produttivo, in questo caso la principale causa sono gli impegni familiari da gestire in contemporanea.  Infatti tale percentuale sale al 33% nel caso di donne con figli a casa.  Infatti per le donne lo “smart working” sembra essere  meno “smart” che per gli uomini, così come  confermato  anche dalla ricerca #IOLAVORODACASA, condotta da Valore D con l’obiettivo di analizzare il mondo del lavoro in Italia in questo periodo di grande criticità dovuto all’emergenza Coronavirus. 

Anche in ambito PA, il Governo ha emanato un decreto legge (n.6 del 23 febbraio 2020) che incentivava e agevolava l’accesso allo Smart Working. La cosiddetta Direttiva Dadone che prende il nome della ministra della Funzione pubblica, Fabiana Dadone. Oggetto del decreto una spinta sul Lavoro Agile in favore del personale complessivamente inteso e con un occhio di riguardo per i dipendenti delle PA affetti da patologie pregresse, che usano i trasporti pubblici o che hanno carichi familiari ulteriori connessi alle eventuali chiusure di asili e scuole dell’infanzia. La PA aveva già  fatto  passi in avanti verso un modello di lavoro “smart”: il 16% delle pubbliche amministrazioni ha   progetti strutturati di lavoro agile (nel 2018 era l’8% e nel 2017 il 5%), anche se, considerate le scadenze della legge Madia,   ci si sarebbe aspettata una maggiore rapidità nella diffusione. 

In tutto questo la tecnologia gioca un ruolo chiave, ma non è sufficiente per la sua introduzione.. Il problema è che il remote working non si può improvvisare; diventare un’azienda “remote” richiede tempo: ecco perché anche nei periodi   emergenziali,  che richiedono risposte veloci, è fondamentale aver ben presenti alcuni capisaldi,  per non trovarsi nella condizione di sperimentare solo i lati peggiori del lavoro a distanza. 

In primis vanno concordate le policy organizzative, ovvero le regole e le  linee guida relative alla flessibilità di orario (inizio, fine e durata complessiva), di luogo di lavoro e alla possibilità di scegliere e personalizzare i propri strumenti di lavoro. Poi c’è il layout fisico degli spazi di lavoro, inteso come configurazione degli spazi, che  ha un impatto significativo sulle modalità di lavoro delle persone e può condizionarne l’efficienza, l’efficacia e il benessere nel contesto lavorativo, perché  va tenuto presente che, a differenza del telelavoro,  lo smart working non è praticato solo fuori dall’ufficio. Ci sono  poi i comportamenti e gli stili di leadership, legati, sia alla cultura dei lavoratori e al loro modo di “vivere” il lavoro, sia all’approccio da parte dei capi all’esercizio dell’autorità e del controllo. 

In sintesi  differenziazione, abitabilità, Intelligenza sociale, responsabilizzazione,   riconfigurabilitàfiducia, trasparenza delle regole sono i principi cardine del lavoro “smart”. Non soltanto perché  rappresentano  le condizioni per l’efficienza e il benessere delle persone ma anche perché costituiscono i presupposti per creare un nuovo spirito di appartenenza, un engagement, uno stimolo all’innovazione.

Fonte foto: tgcom24.mediaset.it

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