Moschino e la collezione incompiuta che scimmiotta il tempo della moda

Moschino sa come scimmiottare quel lato frivolo, e consumistico della moda. Un rapporto sensibile di amore e odio, che lo stesso Franco, fin dagli esordi, nel lontano 1983, ha sempre messo in scena con tanta provocazione. Approccio irriverente il suo, che oltre ad avere segnato lo stile del brand, ha permesso che ben si districasse tra gli eccessi e le ostentazioni tipiche degli anni 80: decennio dal quale il designer, prende tutto il necessario per contornare, e definire la sua cifra stilistica, immancabilmente ironica e surreale.

Sguardo ribelle e canzonatorio dunque, quello del “ragazzaccio della moda”, heritage di un marchio che da oltre trent’anni, prendendo di mira codici estetici e riferimenti classici, spesso usa il passato per punzecchiare la modernità e la sua stessa clientela.

Un approccio che diventa forse un po’ riservato con Rossella Jardini, amica e collaboratrice, subentrata dopo la sua morte prematura (Franco Moschino muore nel 1994, a quarantaquattro anni), ma non per questo, col tempo, meno vivace e dissacrante. Basti pensare ad alcune uscite iconiche: l’abito ispirato al flamenco (2001) ricoperto da un collage di riviste; il lettering ironico Moschino n’est pas un style, c’est un pastiche!omaggio a Chanel (2002); il cappotto con orsacchiotti di peluche, (2011) che poi diventa semplicemente un collo staccabile.

Un’aria di colorata protesta, che dopo la Jardini, il colosso di Aeffe rimarca subito con lo statunitense Jeremy Scott, in carica dal 2013. Racconti e sberleffi, che con il giullare della moda alla direzione creativa, oggi sono sempre più sospesi tra il cartone animato, e quella realtà volutamente distorta: dalla junk culturee il fast foodcon gli archi dorati di McDonald’s, ai tailleur bordati di Chanel e le tracolle matelassé (2014); dalla dedica a Barbie, il giocattolo di plastica di Mattel (2015), alla Jackie O contemporanea, che di giorno sembra aliena, e la sera si trasforma in Marilyn Monroe (2018).

Fino ad arrivare al salto in laboratorio: la Primavera Estate 2019, collezione sarcasticamente incompiuta, presentata lo scorso 20 settembre, durante la Milano Fashion Week.

Un salto che il designer fa fare direttamente dalla passerella, con in fondo, appuntate su una bacheca, moodboard, prove di cromatismi e bozzetti. E poi rotoli di tessuti, allegri e strabordanti, da un grande cesto in primo piano.

“Il sistema di moda ha accelerato così tanto che, questa volta, non ho avuto il tempo di finire il mio lavoro”, ha detto scherzando nel backstage, offrendo la sua istantanea giocosa, scattata direttamente sul campo.  Perché l’obiettivo questa volta, è mostrare proprio l’incompiuto, e ironizzare dunque sui tempi della moda che purtroppo, sono sempre troppo stretti.

Scott vuole rendere l’idea, e lo fa anche con la musica. Sceglie pezzettini di note classiche, della durata di un minuto o poco più. Il tempo di una colta e raffinata gettata di eleganza, ma senza prendersi troppo sul serio: Bach, il Barbiere di Siviglia, The Sleeping Beauty, e infine il Rigoletto con La donna è mobile che fa da soundtrack all’entrata di Gigi Hadid.

È lei che, rispettando i tempi troppo stretti, in meno di dieci minuti, apre e chiude la sfilata: con una veloce telefonata prima, per chiedere al designer di fare qualcosa insieme; e alla fine, indossando un abito da sposa a palloncino, con un seguito di farfalle colorate sospese a mezz’aria.

Una collezione che scimmiotta il fashion systemcon le sue scadenze massacranti, e dove sono subito i bozzetti, a prendere il sopravvento. “Tutto quello che devo mostrare, sono i miei schizzi” ha detto infatti il designer. Schizzi che per tutto lo show, come stampe infantili, dominano mostrando quel desiderio di moda incompiuto.

From head to toe, veloci mutano forme e colori. Per esser righe, per essere quadri, per essere pois e ancora righe, ma insieme; e poi fiori colorati, pronti ad accendere la primavera quasi a intermittenza, in quella sorta di zig zag chiaroscuro, rubato direttamente ai disegni di un pazzo carboncino sulla carta.

Le silhouette, sono una specie di revival anni 80, con un power dressingche a suon di volumi over, tra maniche a sbuffo, giacche con spalline e punti vita infiocchettati, non fa di certo alcuna fatica a farsi notare, anche se di tempo per Scott non ce n’è più (magari alludendo agli impegni autunnali del designer, con il lancio del profumo Toy 2a fine ottobre, e la linea in collaborazione con H&M a novembre).

Ma il glamour stravagante non manca mai, e si veste da cocktail, i minidress lasciano le spalle scoperte, con bustini smorfiosi o scolli asimmetrici, e il bling-bling targato Moschino, è decisamente funny: le catene con logo abbozzate, oltre a decorare di stampe tute ginniche e wrap dress, diventano eccentrici accessori, mentre in primo piano ci sono le gambe coperte da collant, che in un ritornello impazzito materializzano lo schizzo pazzo, come fosse un orologio spedito che incalza sull’ansimante rincorsa.

Ma Moschino proprio non riesce a essere puntuale, e per la sera alza il tiro alla couture. Scimmiotta quel lato frivolo e consumistico, come solo lui sa fare, e con una serie di abiti sberleffo, colpisce dritto al petto dell’alta moda: rotoli di pizzo, forbici giganti, aghi lucenti cuciti in fila come frange, pezzi che in passerella diventano abiti eleganti e surreali; e poi metri da sarta come boa attorno al collo e cappellini che sembrano ecclesiastici, ma alla fine sono dei semplici puntaspilli.

Tutto è mescolato con la voglia di spingersi oltre, per regalare leggerezza usando l’autoironia e partendo da moniti reali, assolutamente inderogabili.

E allora No! Moschino, il re della gag di moda, alla fine proprio non riesce a rispettare le consegne… O forse sì?

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