Le religioni sono un tramite importante e prezioso per orientare la persona verso il suo bisogno di eternità. Alcune prevedono la castità assoluta come mezzo fondamentale di elevazione divina. Altre propongono, invece, il sesso come volano di accesso alla spiritualità.
Per citare solo alcuni esempi: la visione ebraica considera sacra la sessualità secondo i tre principi biblici di Unione, Procreazione e Identità. Il celibato non esiste. La procreazione e il matrimonio sono un dovere divino. Nella concezione cristiana cattolica la sessualità caratterizza l’uomo e la donna sul piano fisico, psicologico e spirituale e ha senso solo all’interno del rapporto matrimoniale, mentre per i religiosi è previsto il celibato consacrato ed entrambi i differenti percorsi sono stimati con pari dignità e valore. Le Chiese della riforma protestante rispetto a quelle ortodosse tendono a discostarsi un po’ di più, in alcuni tratti, da questa concezione matrimoniale e sacerdotale. Anche la prospettiva islamica consente l’attività sessuale solo ai coniugi e risulta più vicina alla tradizione ebraica per ciò che concerne l’assenza del celibato. Nell’induismo il sesso è ritenuto un simbolo sacro, il “linga” e la “yoni”, gli organi sessuali maschile e femminile, vengono onorati e in alcuni rituali adorati. La più antica interpretazione buddista guarda al sesso con sospetto, dal momento che qualsiasi cosa in grado di generare desiderio può diventare impura e causare reincarnazioni, ecc.
Esistono, quindi, numerose etnie, storie e convinzioni religiose, che presentano fra loro rapporti di somiglianza e differenza. Il modo di relazionarsi al piacere carnale, secondo varie interpretazioni e norme consigliate nei libri sacri, è stato col tempo, tramite diverse culture, associato a una ricca gamma di significati tra cui: una tentazione, un dono, un’unione spirituale tra gli sposi. Se i credenti sono oggi 5,5 miliardi, è necessario comprendere che ognuno ha una particolare visione dell’amore e della sessualità in gran parte basata sull’educazione religiosa e familiare ricevuta.
L’influenza che le prime esperienze di vita hanno generato nello sviluppo dell’affettività e degli impulsi erotici è, dunque, estremamente importante da prendere in considerazione per tutti i percorsi di crescita personale. Osservando tali dinamiche da una prospettiva scientifica e psicoanalitica lo studio dell’infanzia e la conoscenza della sessualità adulta hanno condotto Freud a prendere atto che la libido attraversa uno sviluppo ben più complesso della semplice unione genitale nel coito. Egli sostenne, come già vent’anni prima aveva fatto Lindner, un pediatra ungherese, che il bambino è spinto a succhiare non solo dalla fame e dal bisogno di nutrirsi, ma anche dal desiderio del raggiungimento della soddisfazione sessuale, che pure dopo l’appagamento della fame tende a permanere.
Possiamo considerare molto interessante, a tal proposito, il lavoro di Pier Paolo Pasolini, che ha elaborato una propria originale interpretazione dell’Edipo Re di Sofocle, descrivendo accuratamente nel testo della sceneggiatura le pulsioni sessuali dell’infanzia. La storia ha inizio nella campagna di Sacile, appena al di là delle case, in un pomeriggio assolato, databile intorno agli anni trenta, come rivela la presenza di un soldato della fanteria (chiaro riferimento autobiografico al padre dell’autore). Elemento fondamentale della scena diviene la luce che fa da sfondo alla nascita del bambino. I primi attimi di vita, i primi sguardi sono rivolti alla luce, tutto è armonia e pace, non esiste sofferenza, vi è uno stato di godimento, l’infante è immerso in un paesaggio ricco di alberi, soprattutto salici che filtrano il chiarore dei raggi solari. Egli viene accolto da alcune ragazze, amiche della madre, che giocano a prenderlo tra le braccia e delle quali vede solo i busti e ode le risa. Secondo il tema del naturalismo, caro a Pasolini, ogni neonato, infatti, ha visione solo delle membra centrali di chi lo accoglie. Il piccolo viene poi condotto in una barca, sul fiume Livenza ove è deposto nell’abbraccio della madre, incontrandone il seno che lo allatta e lo soddisfa. Solo in un secondo momento ne scopre il volto bello da regina con gli occhi «pieni di una dolcezza crudele». Il bambino ride e attraverso la madre, per la prima volta, scopre il mondo. Si tratta di una scena bucolica e idilliaca. Poco per volta la realtà rompe l’idillio e sulla scena compaiono «esseri umani che fanno cose misteriose»: il lavorio del grano impressiona la mente del neonato che inizia a piangere, trovando consolazione, stretto al grembo materno. Alla scena campestre fa da contro altare la descrizione della caserma, in cui la madre conduce il piccolo per incontrare il giovane padre. L’impatto fra i due è denso di emozioni: il bimbo finge l’indifferenza, mentre il padre, in divisa da guerriero, avverte in modo tragico che quel figlio lo caccerà dal mondo e prenderà il suo posto. Egli ode come una voce interiore alta e solenne che gli presagisce: «la prima cosa che ti ruberà sarà la tua sposa (…) e lei, già lo sai, lo ricambia, ti tradisce. Per amore di sua madre, questo qui ammazzerà suo padre». Un simile triangolo familiare porta in sé il germe della tragedia che si fonda, essenzialmente, sull’incapacità del padre di riconoscere e accogliere il figlio. Non esistono sentimenti di paternità, non esiste un maggiore e un minore, sono entrambi collocati sullo stesso piano, ambedue carichi di ostilità: l’uno manifesta più apertamente il suo rancore, l’altro tende a celarlo.
In seguito la sceneggiatura pasoliniana offre una descrizione forse ancor più efficace e suggestiva: il bambino che ha già qualche anno è nella sua culla con gli occhi aperti e sembra aspettare e pensare. Egli osserva la coppia dei genitori: sono giovani, belli e con una forte intesa sessuale. Mentre questi si preparano per recarsi a un ballo, Edipo finge di dormire e appena i due escono li segue nella notte d’estate. Dal cortile osserva le finestre della casa a fianco, dove si svolge la festa, riconoscendo le sagome dei genitori che si abbracciano e cominciano a ballare. Per strada ci sono altri bambini, figli delpopolo, che guardano la festa dei signori. Un maschio e una femmina, di quattro o cinque anni, ballano imitando i grandi. In questa scena ritroviamo il tema della differenza di classe sociale e quello dell’identificazione sessuale. C’è qualcuno che può guardare ciò che fanno gli adulti e imitarli, identificandosi con il proprio ruolo sessuale. Per l’Edipo pasoliniano non è così: gli altri bimbi sono più grandi, più forti (figli del popolo), lui ha solo due anni, è troppo piccolo per reggere alla scena primaria, i sentimenti che prova lo sconquassano come fuochi d’artificio che esplodono all’improvviso nella notte. Queste emozioni crescono d’intensità quando assiste allo shock de chambre, dal quale si sente alienato. Il piccolo si addormenta con questo dispiacere, misto a un senso di impotenza, e colui che è vigoroso e potente, ossia il padre, lo attacca nel sonno, stringendogli i piedini, «come volesse stritolarli». Tra i due esiste un angoscioso legame di attacco e invidia, che impedisce sia la gioia della paternità che la possibilità del figlio di identificarsi con il genitore. Questo Edipo accoglie tutte le proiezioni di Pasolini e il dramma che ha vissuto in relazione alla sua figura paterna.
Lo shock del piccolo, così ben descritto dall’autore, rappresenta una delle tante difficoltà, che possono sorgere durante gli approcci iniziali con l’affettività e la sessualità. Freud riteneva, infatti, che la maggior parte delle deviazioni fossero presenti in forma moderata nella vita normale e che diventassero patologiche nel momento in cui acquisissero i caratteri dell’esclusività e della fissazione, descrivendo il neonato come un essere già capace, fin dalla nascita, di sensazioni erotiche che andranno a modificarsi e svilupparsi nei primi quattro anni di vita, per poi subire una quiescenza sino alla pubertà.
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