«Una voce maschile, neutra e bassa, mi chiese il nome e poi disse: sono Nuno Meneses de Sequeira, Maria do Carmo è morta a mezzogiorno, i funerali si terranno domani alle diciassette, le telefono per sua espressa volontà». Una telefonata che spezza il sonno di un uomo in un caldo pomeriggio di luglio. Un imprevisto che segna l’inizio di un viaggio verso una Lisbona metà reale e metà letteraria. Comincia così Il gioco del rovescio, racconto d’apertura della raccolta omonima nato dalla mente geniale di Antonio Tabucchi nell’estate del 1978.
Il quadro di Velazquez
La telefonata arriva esattamente ventiquattro ore prima del funerale della misteriosa Maria do Carmo Meneses de Sequeira. A mezzanotte l’io narrante prende il Lusitânia-Express e nell’insonnia si dipanano i suoi pensieri malinconici. La stessa malinconia l’aveva provata a mezzogiorno, quando era al Prado davanti a Las Meninas di Velazquez e pensava a Maria do Carmo proprio mentre moriva. Era stata lei che una volta gli aveva detto: «la chiave del quadro sta nella figura di fondo, è un gioco del rovescio».
Chi conosce il quadro di Velazquez sa che il pittore si ritrae nell’atto di dipingere. Lo spettatore vede solo il retro della tela e quasi nessuno dei personaggi è nella giusta angolatura per osservare il dipinto. L’unica eccezione è l’uomo sul fondo, privilegiato perché può vivere il gioco di corrispondenze tra la realtà e il rovescio rappresentato dal quadro. Per Tabucchi in quella tela c’è la trama della vita e l’unica che ha raggiunto la posizione giusta per contemplarla è proprio Maria do Carmo. «quella figura era Maria do Carmo col suo vestito giallo, io le stavo dicendo: ho capito perché hai codesta espressione, perché tu vedi il rovescio del quadro, che cosa si vede da codesta parte?».
La saudade
Ma chi è veramente Maria do Carmo? Ci viene descritta come una signora sui quarant’anni con i capelli neri, eppure l’unica cosa che la contraddistingue è la sua straordinaria capacità di sentire quella che i portoghesi chiamano saudade. Una parola intraducibile che indica una «categoria dello spirito» che solo i portoghesi possono sentire «perché hanno questa parola per dire che ce l’hanno».
Come dice Anna Dolfi in Gli oggetti e il tempo della saudade, sentire la saudade significa «accettare l’immobilità e la disperazione senza oggetto della vita […] e il desiderio senza oggetto della fine, assieme al languore per quanto si è perduto, e che già nel passato, quando ancora tutto sembrava possibile, aveva al suo interno inscritta la morte».
Si tratta di un particolare tipo di malinconia che mette in connessione passato, presente e futuro, e unisce dolore e dolcezza in un’unica nota nostalgica. Tabucchi ce la spiega raccontandoci del protagonista che sente la sirena di una nave e immediatamente desidera di tornare a essere il passeggero che per la prima volta arriva a Lisbona e che ancora deve conoscere Maria do Carmo. «Io sapevo già tutto […] ma quel passeggero che ero io e che guardava Lisbona dal parapetto della nave non lo sapeva ancora e tutto sarebbe stato per lui nuovo e identico. E questa era Saudade […]. A suo modo, anch’essa, era un rovescio»
Il juego del revés
Se il concetto di saudade è inafferrabile, lo è anche il juego del revés. Anche questa volta Tabucchi ricorre a una metafora, quella del gioco dell’infanzia di Maria do Carmo a Buenos Aires. «Ci mettevamo in cerchio, quattro o cinque bambini, facevamo la conta, a chi toccava andava in mezzo, lui sceglieva uno a piacere e gli lanciava una parola, una qualsiasi […] quello doveva pronunciarla subito a rovescio, ma senza pensarci sopra».
Un gioco che si fa interessante soprattutto se si gioca con la parola reves. A seconda di come mettiamo l’accento significa rovescio (revés) o sogni (rȇves), ma detta al contrario diventa sever e prende un significato completamente diverso (tagliare in due). Come questa parola, tutto è soggetto a ribaltamento in Il gioco del rovescio. Il ronzio di un condizionatore diventa il motore di un piccolo rimorchiatore azzurro di tanti anni prima, la malinconia di un tram giallo pieno di visi stanchi quella di un matrimonio contratto per necessità, le linee prospettiche di un molo divengono quelle del quadro di Velazquez…
I rovesci di Maria do Carmo
I ricordi dell’io narrante si mescolano continuamente come in un’allucinazione e Maria do Carmo è sempre presente. Lei, grande protagonista in absentia, vive nel rovescio di tutto ciò che costituisce il presente del protagonista e dimostra che ogni cosa può essere anche qualcos’altro, lei compresa. «Vorrei toglierle un’illusione […] quella di aver conosciuto Maria do Carmo, lei ha conosciuto solo una finzione di Maria do Carmo» afferma suo marito, Nuno Meneses de Sequeira.
Di Maria do Carmo ce ne sono tante. Il marito è sicuro di essere l’unico a aver conosciuto quella vera, ma l’io narrante insinua il dubbio che anche lui possa essere incappato in una delle identità fittizie della donna. Dopo qualche pagina il racconto finisce e resta un dubbi. Esiste davvero una Maria do Carmo oppure è una figura immaginaria che il protagonista vede scivolare da un sogno all’altro mentre fuori sono ancora le cinque del pomeriggio e lui sta ancora dormendo?
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