L’imperatore Augusto e la forza delle radici

Federico BarocciFuga di Enea da Troia – 1598

Il tipico uomo moderno è l’uomo dell’altrove, colui che esce dagli spazi originari, che ha un vocabolario infarcito di termini stranieri, che non si accontenta di un mondo solo e quindi ne crea un altro, quello virtuale. È come un albero che cresce puntando a toccare il cielo, ma ci riesce solo se le sue radici sono robuste. Ogni uomo infatti quando si sposta non può fare a meno di portare con sé il bagaglio della propria esistenza. Una borsa invisibile che contiene le risposte alle domande Chi siamo? Da dove veniamo? Una valigia che più è piena più aiuta a trovare la risposta alla terza domanda esistenziale: Dove andiamo?

Augusto e le sue radici

Lo sapeva bene l’imperatore Augusto, che pur guardando costantemente al futuro non ha mai dimenticato le radici della sua stirpe, anzi, ne ha fatto la chiave del suo successo futuro. Queste radici si legano a doppio filo con quelle dell’Impero. Affondano in un passato arcaico e misterioso, fatto di leggende che — più o meno vere — definiscono il nucleo identitario dell’antico popolo romano.

Ottaviano Augusto era il figlio adottivo di Giulio Cesare. L’ex dictator discendeva dalla gens Iulia, famiglia nobile che secondo la tradizione aveva come capostipite Enea. Il legame familiare tra l’eroe troiano figlio di Venere, Augusto e la fondazione di Roma viene omaggiato da una delle più grandi opere letterarie della latinità: l’Eneide.

Virgilio e la gens Iulia

Virgilio inizia a concepire il poema proprio all’indomani della vittoria di Azio. La sconfitta di Marco Antonio contro Ottaviano sembra la premessa a un periodo di pace e prosperità, da qui l’idea di realizzare un’opera mirata a esaltare il capostipite gens Iulia come il vero fondatore della città eterna: «Armi canto e l’uomo che primo dai lidi di Troia/venne in Italia fuggiasco per fato e alle spiagge/lavinie, […]/molto sofferse anche in guerra, finch’ebbe fondato/la sua città, portato nel Lazio i suoi dei, donde il sangue/Latino e i padri Albani e le mura dell’alta Roma».

Virgilio ci racconta che dopo le peregrinazioni che hanno seguito la guerra di Troia Enea approda alle coste del Lazio e si unisce a una famiglia reale latina sposando la principessa Lavinia. Dopodiché fonderà la città di Lavinio e trent’anni dopo suo figlio Ascanio fonderà quella di Albalonga.

Due leggende in una

Proprio Albalonga — attraverso una serie di manipolazioni cronologiche da parte degli storiografi romani — sarà l’anello di congiunzione tra il mito di Enea e il più importante motivo nazionale romano: quello di Romolo e Remo. Non a caso, la versione definitiva della congiunzione delle due leggende verrà redatta proprio in età augustea.

La leggenda narra che Romolo e Remo siano figli di Marte e di Rea Silvia. Rea Silvia è principessa di Albalonga pertanto discende direttamente da Ascanio, e quindi da Enea. Di conseguenza, tra gli avi di Augusto si possano annoverare Ascanio, Romolo, Remo, e soprattutto la dea Venere e il dio Marte. Questo dà una connotazione divina al potere dell’imperatore e lo esalta agli occhi del suo popolo e del mondo.

Anche il nome che Ottaviano sceglie di assumere una volta salito al potere è avvolto in un’aura sacrale: Imperator Caesar Augustus. In questo caso imperator non è solo il titolo conferito al generale acclamato dalle proprie truppe dopo una vittoria, ma un praenomen con cui il sovrano reclama per sé l’attitudine vittoriosa dei romani. Con il nomen Caesar si ricollega al padre adottivo e dà vita a una nuova stirpe, quella dei Cesari. Ma l’apice della sacralità del primo imperatore sta nel cognomen Augustus. Il termine significa colui che è stato elevato, elevato verso un destino grandioso che era già inscritto nelle radici della sua stirpe.

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