L’amore e la follia di Orlando

La figura del folle è l’emblema dell’imprevedibilità. La pazzia scompone la logica e la ricompone in strutture inedite, spesso impenetrabili. Ma cosa succede se la follia entra in connessione con un’altra entità imprevedibile come l’amore?

In letteratura uno degli esempi più famosi del binomio amore-follia lo troviamo in Orlando Furioso, poema cavalleresco di Ludovico Ariosto che prosegue la storia narrata da Boiardo in Orlando innamorato. Prima innamorato e poi furioso, il paladino di Carlo Magno sperimenta due condizioni che portano in sé il gene dell’imprevedibilità e che sono legate da un rapporto di causa-effetto. La follia infatti nasce dall’amore non corrisposto per Angelica, la principessa del Catai (antico nome della Cina).

Angelica oltre a essere elemento di perdizione per Orlando è anche punto d’origine della disgregazione dell’intera opera. Dopo la sua fuga da Parigi, i paladini di Francia si separano per cercarla e la storia perde il suo centro geografico, diventa policentrica. Ne risulta un mondo apparentemente caotico ma in realtà magistralmente diretto dal narratore, pieno di personaggi in movimento che si incrociano, combattono e si separano di continuo. Vivono avventure mirabolanti in luoghi prodigiosi che hanno vita propria e svolgono una parte attiva nella storia. A rivelare a Orlando che Angelica è innamorata di Medoro infatti non è una persona, ma il locus amoenus che è stato il loro nido d’amore. 

Nel canto XXIII Orlando raggiunge un vero e proprio paradiso terrestre: «Giunse ad un rivo che parea cristallo,/ ne le cui sponde un bel pratel fioria,/ di nativo color vago e dipinto,/ e di molti e belli arbori distinto». Si ferma per riposare ma guardandosi intorno vede i nomi di Angelica e Medoro incisi sui tronchi degli alberi («Angelica e Medor con cento nodi/legati insieme, e in cento lochi vede.»). Il paradiso terrestre viene immediatamente investito dall’ombra della furia, diventa «empio soggiorno» in un «infelice e sfortunato giorno». Orlando cerca di negare l’evidenza, prova a convincersi che si tratti di un’altra Angelica. 

Quando entra nella grotta che ha ospitato i due amanti, la verità si fa ancora più evidente: «Quivi soleano al più cocente giorno/stare abbracciati i duo felici amanti./V’aveano i nomi lor dentro e d’intorno,/più che in altro dei luoghi circostanti,/scritti, qual con carbone e qual con gesso,/e qual con punte di coltelli impresso». In particolare legge un’iscrizione composta in versi da Medoro sul ricordo del piacere provato con la principessa in quella grotta. La gelosia di Orlando esplode nella disperazione. Le ottave che seguono la triste scoperta si affollano di vocaboli come «dolor», «duol», «pianto», «umor» (nel senso di lacrime)… L’«impetuosa doglia» dell’ottava 113 ha già il sapore del furore. Tuttavia sarà solo dopo il racconto del pastore che ha ospitato nella sua casa Angelica e Medoro che Orlando perderà il senno. 

Il tradimento di Angelica non ferisce solo il suo cuore, ma anche il suo onore. Il fatto che una donna preferisca Medoro, un semplice fante saraceno, a un valoroso paladino cristiano va contro ogni suo convincimento ideale. L’etica cortese infatti prevedeva che la bella donna andasse all’eroe come una sorta di premio. Come scrive Gino Tellini nell’antologia Letteratura italiana. Un metodo di studio: «Da tale conflitto profondo, tra valori cortesi e comportamento deviato della dama nasce la serietà morale della pazzia di Orlando, che appena travolto dalla dissennatezza si spoglia di ogni insegna cavalleresca e dissemina per il bosco tutte le sue armi».

Nelle ottave 133-134 del canto XXIII Orlando si toglie elmo, scudo e tutte le armi. Rimuove tutto ciò che lo identifica come un paladino. Porta a compimento la scissione interiore anticipata dall’ottava 128: «Non son, non son io quel che paio in viso: quel ch’era Orlando è morto et è sottoterra». Il suo spirito di cavaliere non sopravvive allo smacco e si scolla dalla parte più umana di Orlando. Ciò che resta è un uomo tormentato e bruto che sradica le piante e sporca l’acqua della fonte, da sempre simbolo privilegiato dell’eden. Lo stesso luogo che era stato nido d’amore per Angelica e Medoro viene trasformato in un luogo devastato da una furia incontrollabile, testimone e prova del peggior effetto possibile dell’innamoramento.

Orlando è un personaggio travolto dall’imprevisto. Integro e asservito alla logica dell’etica cortese pensa, ha una visione ottusa del mondo. Un giorno il destino scompiglia le carte, mina il suo onore e il paladino non regge. Cade nel baratro e trascina anche l’uomo che c’è dietro l’armatura. Si trova a errare non solo nel bosco, ma anche nei meandri di se stesso. Perde ogni punto di riferimento e invece di nobilitarsi si lascia abbrutire dall’amore. Diventa ostaggio della follia che può essere risolta solo da un viaggio altrettanto folle: quello di Astolfo sulla Luna, laddove finiscono tutte le cose perdute sulla terra. Solo laggiù il senno di Orlando potrà essere recuperato.

Fonte foto: palermoweb.com

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