L’alimentazione del futuro: cosa porteranno sulle nostre tavole i cambiamenti climatici

Inevitabile chiedersi, in un mondo che cambia a velocità travolgenti, di cosa ci nutriremo di qui a dieci o venti anni.
Negli ultimi due secoli l’alimentazione dei paesi Occidentali si è radicalmente modificata. Da un menù in prevalenza “povero”, in cui le proteine nobili erano riservate all’aristocrazia o alle occasioni speciali, ad uno in cui carne, pesce e uova erano a disposizione tutti i giorni sulle nostre tavole. Fino ad arrivare alle estreme conseguenze di una società post consumistica in cui il cibo non è più visto come fonte di nutrimento. In molti casi è una ricompensa, un passatempo per bambini annoiati davanti alla tv, un rifugio dalla solitudine e dalle insicurezze.
La crescita vertiginosa della popolazione mondiale e gli inarrestabili cambiamenti climatici ci imporranno tuttavia di rivedere le nostre abitudini alimentari, adeguandole come in passato alla disponibilità di risorse, più che ai desideri del nostro palato.

Secondo uno studio commissionato dalle Nazioni Unite e condotto dal  Consultative Group on International Agricultural Research (Cgiar), le colture degli ambienti freddi potrebbero essere le prime a scomparire. Ecco allora che, anche alle alte quote, la patata sarà sempre più difficile da coltivare, mentre la banana, tipica dei climi tropicali, potrebbe non essere più un alimento di importazione, ma potremmo ritrovarcela prodotta a due passi da casa.
E pensare che, solo nel 2008, la patata veniva riconosciuta dall’Onu come la coltivazione che avrebbe garantito per gli anni a venire il sostentamento dei piccoli coltivatori a basso reddito, colpiti dall’innalzamento dei prezzi dei cereali soprattutto in Cina e in India.
In un futuro non lontano sembra che saranno proprio i produttori dell’Asia Meridionale a dare il maggior incipit al cambiamento delle nostre abitudini alimentari. La patata, alimento dei poveri per eccellenza, verrà sostituita da colture più resistenti al clima caldo e secco, come la tapioca e i fagioli cowpea. Questi ultimi sono già oggi prodotti tipici dell’alimentazione delle popolazioni sub-sahariane, proprio grazie alla loro adattabilità all’ambiente desertico.
I nutrizionisti più all’avanguardia sostengono che anche gli insetti entreranno a pieno titolo nei nostri menù. Nel mondo ce ne sono circa 1.400 specie commestibili, che sono un’ottima fonte di proteine e assicurano un valore nutritivo pari a quello della bistecca. Potrà sembrare un’assurdità, ma già oggi sono considerati una prelibatezza in Giappone, Thailandia e in alcune regioni dell’Africa.

In Italia è Slow Food il maggior sostenitore della necessità di rivedere le nostre abitudini alimentari, in modo da renderle più eco-compatibili. “Le tantissime varietà di fagioli, ceci, lenticchie della nostra tradizione –ha spiegato il presidente Roberto Burdese- ci consentono di avere una dieta più varia, arricchire il nostro menù, ridurre il consumo di carne sostituendo le proteine animali. In questo modo facciamo del bene alla nostra salute e all’ambiente”.

di Eleonora Alice Fornara

foto: wikipedia.org

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