Intervista alla criminologa Deborah Capasso de Angelis: dall’evoluzione del crimine al ruolo della donna

crimeIn una società sempre più caratterizzata da violenze di ogni genere, la figura del criminologo assume delle valenze assolutamente indispensabili nell’analisi delle stesse. 

Dalla cultura illuminista in poi, con la figura dell’intellettuale e giurista Cesare Beccaria e con il successivo sviluppo delle scienze empiriche, la criminologia si è articolata in due ramificazioni: una che prevede l’approccio medico-biologico dell’antropologia criminale; l’altra lo studio sociologico del contesto in cui il criminale agisce.

A tal proposito intervistiamo una serissima criminologa, Deborah Capasso de Angelis che, partendo proprio dagli studi sociologici ha deciso di destinare la sua vita professionale all’indagine e alla risoluzione dei casi più controversi, senza mai trascurare il lato umano, fondamentale per una ricostruzione quanto mai attenta delle condizioni che inducono un essere umano a delinquere.

Deborah, come è avvenuto il suo passaggio dagli studi sociologici alla criminologia? 

 Ho avuto interesse fin da subito per la sociologia del diritto indagando come la giurisprudenza risolvesse le controversie dei contesti sociali in continuo mutamento occupandomi della questione del metodo sociologico nella scienza giuridica e, successivamente, di come la scienza giuridica affrontasse le controversie del pluralismo religioso.

La passione per le scienze criminologiche e forensi ha fatto in modo che approfondissi gli studi in questa direzione pur conservando la mia impostazione sociologica. I reati, la micro e macro criminalità, sono per me fatti sociali e come tali vanno indagati. Per un sociologo le norme sono atti di comunicazione, messaggi che hanno una loro descrittività ma sono, nel caso delle norme giuridiche, anche prescrittivi in quanto orientano azioni e aspettative d’azione.

Sentivo l’esigenza di studiare e comprendere perché tali norme venissero trasgredite e quali sono i meccanismi sociali sottesi che spingono le persone a trasgredirle. Il contesto che intendevo comprendere, però, era quello italiano e l’incontro con Massimo Blanco nel 2011 si rivela illuminante. Da lui parte l’idea di dar vita all’UNISED, da me subito ben accolta, in cui studiare ed insegnare le Scienze Criminologiche applicate alla sicurezza con particolare riferimento all’ambiente sociale in cui viviamo con un approccio multidisciplinare per indagare i fenomeni criminosi a 360°.

I risultati finora ottenuti dimostrano che ci siamo riusciti e stiamo avendo un vasto seguito anche tra gli operatori del settore sicurezza come le forze di polizia, alcuni funzionari della magistratura e investigatori privati.

 Cosa vuol dire per una donna essere criminologa? Ha una marcia un più derivante dall’innata predisposizione femminile a scandagliare i pensieri, specie quelli contorti, o vuol dire dover lottare contro il blocco monolitico del pensiero maschile dominante e predominante, almeno nel suo campo professionale ? 

Il mio lavoro è prevalentemente d’insegnamento e di ricerca. Essere una donna che si occupa di determinati aspetti del quotidiano sovente incuriosisce e attrae mentre altre volte vengo guardata con diffidenza, messa sotto osservazione e subito paragonata ad altre professioniste (sicuramente più famose dal punto di vista “mediatico”). In genere il confronto con i colleghi del sesso opposto è costruttivo, cerco di far emergere il lato più mascolino di me, non abbasso la guardia, sfido, carpisco e assorbo più che posso. L’essere donna criminologa può, a mio avviso, aiutare a legger in modo diverso alcune sfumature soprattutto in casi di violenza di genere, di violenza sui minori ma anche in casi in cui necessita una particolare attenzione alla vittima. Naturalmente questa non è una regola, in taluni casi un’eccessiva sensibilità può portare ad un pericoloso coinvolgimento nello studio di un caso.

In realtà direi di essere stata fortunata trovando nel mio percorso uomini straordinari che sono andati oltre l’aspetto esteriore e mi hanno sempre incoraggiata e sostenuta nel mio percorso, primo fra tutti Massimo Rosati, purtroppo recentemente e prematuramente scomparso, che non dimenticherò mai. La vera lotta è quella comune a tutte le donne: riuscire a coniugare lavoro, famiglia e femminilità.

Nell’immaginario collettivo, il criminologo è una sorta di incrocio fra  psichiatra, mentalista e investigatore. Potrebbe spiegarci in cosa consiste essenzialmente il suo lavoro e quali altre figure professionali ruotano nella sua orbita? 

Più che un incrocio lo definirei un professionista che opera seguendo un approccio multidisciplinare. Gli autori di reato e le vittime sono persone. Vivono, agiscono, interagiscono in un determinato contesto sociale, sono figli dei tempi e delle società in mutamento. Attraverso la socializzazione interiorizzano sistemi di norme implicite ed esplicite, comportamenti, pratiche, modi di pensare. Tenere in considerazione soltanto l’aspetto psicologico, sociologico o biologico è, a mio parere, riduttivo. Sarebbe come affermare che tutti i camorristi ed i mafiosi sono pazzi e che tutti gli evasori fiscali sono solo degli avari. Per questo, mi avvalgo della collaborazione di psichiatri, psicologi, avvocati, sociologi, appartenenti alle forze dell’ordine, esperti d’intelligence, vittimologi, nell’intento di dare un’analisi approfondita e completa dei fenomeni criminosi.

Il ruolo della donna nel crimine è cambiato nel corso degli anni: è meno vittima e più carnefice. Potrebbe descriverci le due ipotesi. Di cosa è più vittima e di cosa è più carnefice. 

L’emancipazione della donna l’ha resa consapevole di avere delle grandi potenzialità, tuttavia, lo scarto tra potenzialità ed opportunità è ancora molto grande. Ciò, talvolta, crea un senso di frustrazione, di rabbia e ribellione che possono portare a compiere gesti insani. Vista da una diversa prospettiva, il desiderio di affermazione può accrescere la percezione di perdita del controllo e di dominio a cui la cultura maschilista ha abituato l’uomo, facendo in modo che aumentino i casi di femminicidio. Le statistiche confermano che la donna è ancora più vittima che carnefice.

Potrebbe fornirci una casistica dei reati più frequenti e quelli più bizzarri? 

Ultimamente i casi che affrontiamo più di frequente sono quelli legati al cyber crime: dalle vittime di cyberstalking e cyberbullismo alla pedopornografia. Ma non mancano casi di furti di identità e di pishing. Ci stiamo adoperando per far conoscere quanto più è possibile ai “navigatori del web” come difendersi e come individuare l’autore di reato. Di bizzarro, trovo il modo di credere al nuovo tipo d’amore che ha visto la luce per mezzo dei social network e che ho definito il “Webamore”.

Certamente non è da considerare un reato ma è la massima espressione del nostro senso di solitudine e di bisogno di sentirci al sicuro e di provare intense sensazioni. Peccato che, per farlo, spesso ci inventiamo un’identità virtuale.

Qual’ è il malessere sociale più diffuso oggi? 

Il malessere più diffuso oggi è la perdita di affezione alla legalità, al senso civico, alle istituzioni, all’idea di comunità. Si rincorre un benessere assolutamente personale a scapito di quello sociale.

La classe politica stessa non è in grado di comunicare il senso di appartenenza ad un territorio ed a una Nazione. La gente non si sente al sicuro e cerca di difendersi in primis da chi quel senso di sicurezza dovrebbe trasmetterlo.

 Ha mai creduto nelle tesi dei complottisti? 

Se inteso come mezzo per deviare e veicolare la costruzione del consenso, decisamente si. Siamo assolutamente, mediaticamente indotti a credere a false verità.

di Simona Mazza

foto: voiceofsikkim.com

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