“Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”, così la Chiesa prega dopo la consacrazione, attendendo nella speranza cristiana l’ultima venuta del suo Signore. La liturgia della Parola di questa domenica estiva ci parla di una vigile attesa, quella del Signore che, come dice S. Agostino, è venuto nella storia, presente nei Sacramenti e nei fratelli, verrà nell’ultimo giorno. E noi, (a prescindere dal 2012, data di un’ipotetica fine del mondo) siamo pronti a vivere l’ultimo giorno della storia? Come ci presenteremo al Signore nel momento del giudizio? Come consegneremo a Dio la creazione, “opera delle sue mani”, che Egli affida continuamente alla nostra tutela e alla nostra custodia? A proposito, gli esperti ecologisti e naturalisti, ormai da tanti anni, parlano di “collasso del nostro pianeta”, facendo riferimento a futuri disastri, siccità, inondazioni; addirittura si parla di intere città e porzioni di terra che verranno totalmente cancellate. Una visione quasi apocalittica che descritta in questi termini ci potrebbe far vivere da smarriti e senza speranza. Il problema dell’ecologia però, in una civiltà come la nostra, non va sottovalutato; esso è da prendere in considerazione soprattutto per i danni che derivano dall’inquinamento ambientale, dall’effetto serra; ancora di più per la corsa di un progresso irrefrenabile che, come in un circolo vizioso, conduce l’uomo verso la distruzione e la morte. Chiediamoci allora se su questa terra la vita ha un senso, ma soprattutto se riusciamo a vivere senza un barlume di speranza? Ricordiamoci che a nulla servono i grandi progressi della scienza e della tecnologia se proprio essi poi ci rubano la speranza che, assieme alla fede e all’amore, è un bene grande ed inestimabile. Gesù ci avverte, e con il Vangelo di questa domenica ci insegna a mettere in discussione il nostro stile di vita che, per le cause sopra citate, non riesce più ad incarnare seriamente l’istanza evangelica e che fatica molto a conformarsi allo stile di vita che Egli ci propone. La visione materialistica della persona e delle cose – che insieme al relativismo è tipica della nostra epoca – ci parla di un uomo che non è più quella stupenda creatura nata e uscita dal cuore di Dio; il materialismo propone un uomo che non veste più gli abiti della santità, che non ha più un cuore libero e puro. Il materialismo con le sue dinamiche astute e sottili, svende continuamente la bellezza dell’uomo creato da sempre ad immagine e somiglianza di Dio. In qualcuno potrebbe sorgere la domanda: “Allora dobbiamo smettere di fare ciò che il Signore ci chiama a svolgere in questa esistenza?” Penso di no. Non proporrei affatto questo tipo di domanda, tuttavia mi convincerei, nonostante tante difficoltà che si vivono e si sperimentano ogni giorno, a far fruttare quei carismi che Egli ci ha donato per “creare bene e fare bene”, un bene però che sia sempre orientato alla gloria di Dio e rivolto alla carità, all’amore. Il bene, un qualsiasi bene, possiamo definirlo tale solo se offre un servizio alla vita, un servizio alla persona e alle sue esigenze. E proprio in questi giorni che precedono il ferragosto, giorni caldi in tutti i sensi, forse anche noi siamo presi da quelle dinamiche che rendono i beni materiali “il solo dio” dell’uomo; vediamo come tante energie e tanti soldi si sciupano per un momento di “evasione” dalla realtà, “evasione” dalla vita e da ogni regola di vita; effettuiamo tanti sprechi (per es. l’acqua o il vestiario ordinario) che poi alla fine, ci convincono di essere con le mani vuote e colme di tanta amarezza. Si vive anche il dissidio se alcuni comportamenti (come per es. il non pagare le tasse o il non rispettare il codice della strada, il decoro nel vestire) trasgrediscano la morale e l’etica. Atteggiamenti sicuramente tutti discutibili e che purtroppo, solo a parole, accendono il desiderio di coltivare e tutelare il bene comune, quello dei singoli e quello di tutti. Il grande Paolo VI, nell’enciclica “Populorum progressio”, specchio della “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, scrive che “indubbiamente l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può organizzarla contro l’uomo” (n. 42). Rispolveriamo la speranza, carissimi. Nutrire sentimenti di speranza cristiana significa guardare verso il cielo ma con i piedi ben saldi su questa terra, perché è su questa terra, non altrove, che bisogna essere pronti per il ritorno di Cristo. La parabola raccontata da Gesù nel Vangelo di oggi, è chiaro ed è evidente, riguarda tutti! Diremmo che Gesù vede i suoi discepoli come persone che hanno già traslocato, che hanno già cambiato abitazione, città, terra. Li vede già nel regno del Padre suo, non più nel regno di questo mondo e come tali vuole che essi vivano come persone di un altro mondo, di un altro regno, diversi quindi, da ogni altro uomo. “Vivere nel mondo ma non essere del mondo” infatti, è il programma di vita più importante del cristiano. Inoltre, dobbiamo vivere tra gli uomini ma liberi dall’attaccamento alle cose di questo mondo, perché in ogni istante della nostra vita, il Signore può venire e domandare conto della nostra storia; capiamo quindi perchè il discepolo di Gesù deve essere sempre pronto; quando il Signore verrà ci dovrà trovare con la luce della nostra fede bene accesa, con le opere di carità ben fatte, con una speranza che mai è venuta meno neanche nei momenti di più grande sconforto o difficoltà. Ci aiuti il Signore ad essere sempre vigilanti nell’attesa della sua venuta. Amen.
Fra Frisina
Foto: www.jaguarmonza.it
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