Ilse Weber: il canto di un’eroina della Shoah

ilse weber

L’oblio del pregiudizio ha, innumerevoli volte, cercato di eclissare talenti femminili del panorama musicale
dalla memoria storica, ma la terribile mano della Shoah ha letteralmente schiacciato le compositrici ebree,
deportate nei campi di concentramento di Terenzin, Auschwitz e Birkenau.

Le terribili torture, patite dallo sfortunato popolo ebreo, hanno annientato i perseguitati nel corpo, ma non nello spirito, nella loro creatività che ha continuato a vivere, a dare frutti e, forse, una ragione di vita. Sebbene sia difficile da comprendere, soprattutto la musica ha scandito le marce dei prigionieri, ha accompagnato la quotidianità in questi infernali luoghi, risuonando durante le adunate esecuzioni, ma anche allietando i momenti di convivialità degli ufficiali tedeschi con un’orchestra di detenuti o un solista.

Ilse Weber

In occasione del 27 gennaio, Giorno della Memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto, vorremmo ricordare la compositrice ebrea Ilse Weber, nata Herlinger, internata a Terenzin, poi trasferita ad Auschwitz, dove, purtroppo, muore.

Ilse nasce in Moravia nel 1903 e già da bambina ama molto leggere, impara a cantare, suonare la
chitarra, il liuto, il mandolino e la balalaika. Nel 1930 sposa Willi Weber, ne prende il cognome, si stabilisce a Praga. Nel 1939, dopo l’occupazione nazista, i Weber riescono a portare in salvo il figlio maggiore Hanus, grazie ad un “Kinder transport”, ossia un convoglio di salvataggio, organizzato da un agente di borsa inglese, Nicolas George Winton, che, così, riesce a sottrarre oltre 600 bambini ebrei ai tedeschi.
L’Inghilterra accoglie i piccoli profughi e Hanus, grazie ad un’amica di Ilse, raggiunge sua nonna in Svezia e non rivedrà mai più sua madre.

La vita a Terezin

Nel 1942 Ilse, con il marito e il figlio minore Tomas, vengono deportati a
Terenzin, il “ghetto modello”, usato per propagandare la falsa benevolenza di Hitler verso i prigionieri.
Perciò la musica, inizialmente non autorizzata, ma praticata di nascosto, in un secondo momento, viene
legalizzata; si tengono concerti ogni giorno, si rappresentano opere come “La serva padrona” di Giovanni
Battista Pergolesi, “Il flauto magico” di Wolfgang Amadeus Mozart e il Requiem di Giuseppe Verdi. Qui Ilse
presta servizio come infermiera per i bambini del campo, facendo tutto il possibile per aiutare i giovani
pazienti senza l’ausilio di medicine, a loro precluse. Scrive per loro circa 60 poesie, musicandone molte
attraverso melodie e immagini apparentemente semplici, per descrivere l’orrore di ciò che la circonda. Le
sue canzoni, che ella accenna sempre accompagnandosi con la chitarra, riescono a regalare un briciolo di
serenità ai fanciulli, prima di addormentarsi.

Auschwitz

Nel 1944 Willi è il primo ebreo trasferito ad Auschwitz da Terenzin e Ilse sceglie volontariamente di unirsi a lui, insieme al figlio Tommy e ai 15 bambini sotto la sua custodia. Sfortunatamente, dopo soltanto due
giorni, Ilse e i suoi cuccioli muoiono nelle docce del lager, in cui entrano intonando la sua “Wiegala,
ninnananna dei bambini di Auschwitz”:

“Ninna nanna ti culla il vento

e soffia lieve sul liuto lento

sfiora dolce il verde campo

e l’usignolo intona il suo canto…”

Grazie al canto, il gas letale agisce più velocemente, limitando la sofferenza e favorendo il sonno eterno.
Da quel giorno altre vittime canteranno questa ninnananna, facendola diventare il simbolo del massacro
degli innocenti.

Nel ricordo di Ilse

Il marito di Ilse le sopravvisse per trent’anni e prima di lasciare Terenzin, seppellisce nella capanna degli
attrezzi, le poesie e le canzoni che la moglie ha scritto in quei due anni, con la speranza che un giorno
qualcuno le ritrovasse. Lui stesso le recupera e le accorpa ad altre, ottenute direttamente dai superstiti,
dando vita, così, alla raccolta “Quando finirà la sofferenza? Lettere da Therensienstadt”. Hanus Weber, oggi ultra novantenne, si occupa della presentazione del libro, omaggiando la memoria di sua madre e dei suoi compagni.

Foto di Frauke Riether da Pixabay

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