Qual è il senso della vita? Questa è una delle domande esistenziali che tutti si pongono e a cui nessuno è mai riuscito a dare una risposta definitiva. Lucio Anneo Seneca ci prova in De brevitate vitae (tradotto Sulla brevità della vita), un piccolo trattato filosofico con uno stile da opera letteraria. Composto probabilmente nel 49 d.C., De brevitate vitae è esempio illustre di quello Stoicismo che — al contrario della religione di stato romana — parlava all’individuo e non al cittadino, inneggiando a un otium ben speso invece che a un negotium produttivo.
La vita e il tempo
Nel trattato Seneca si rivolge a una persona in particolare, Paolino, che viene presentato come un alto funzionario imperiale preposto all’ufficio del vettovagliamento. In realtà la critica identifica questa figura con Pompeo Paolino, forse prefetto dell’annona dal 48 al 55 d.C, nonché padre della Paolina che fu moglie dell’autore. A lui Seneca dice: «è meglio conoscere la contabilità della propria vita che del grano statale».
Questo per prevenire tutti quegli sprechi di tempo che danno l’illusione che l’esistenza umana sia troppo breve per consentire all’individuo di realizzarsi. «Non abbiamo poco tempo, ma ne abbiamo perduto molto. Abbastanza lunga è la vita e data con larghezza per la realizzazione delle cose più grandi, se fosse tutta messa bene a frutto; ma quando si perde nella dissipazione e nell’inerzia, quando non si spende per nulla di buono, costretti all’ultima necessità ci accorgiamo che è passata senza averne avvertito il passare».
L’uomo amministratore della vita
Seneca presenta la vita come la più grande ricchezza dell’uomo e l’uomo come l’amministratore di questa ricchezza. Nelle mani di un buon amministratore un piccolo gruzzolo può trasformarsi in una fortuna, nelle mani di uno cattivo anche i grandi patrimoni si prosciugano. Ma chi sono i cattivi amministratori della vita? Nel De brevitate vitae ne troviamo diversi esempi, che tutto sommato sono riassumibili in due categorie: gli affaccendati e gli oziosi.
Gli affaccendati hanno la colpa di bruciarsi l’esistenza, di regalarla agli altri per mezzo della loro incessante attività. Pensano che la salvaguardia dei beni o di un ruolo di potere sia la cosa più importante e rimandano sempre il momento in cui potranno dedicare un po’ di tempo a se stessi («Non si trova nessuno che voglia dividere il suo denaro: ma a quanti ciascuno distribuisce la sua vita!»). Gli oziosi invece sono quelli a cui «non piace nessuna meta, […] ma sono sorpresi dalla morte fra il torpore e gli sbadigli». Non sono né produttivi né contemplativi e non hanno niente a che fare con l’otium, ovvero l’attività contemplativa dei filosofi.
La capacità del saggio
Il filosofo o saggio è l’unico capace di un’esistenza piena, interamente messa a frutto. Non conosce tempo perso e sente che tutti gli anni alle sue spalle «sono un acquisto», un’occasione sfruttata per accrescere la propria grandezza di spirito. Avere grandezza di spirito significa saper affrontare al meglio sia la vita che la morte. Seneca scrive: «ci vuole tutta una vita per imparare a vivere e […] ci vuole tutta una vita per imparare a morire». Ebbene solo i saggi lo sanno fare. L’hanno imparato grazie a un lungo apprendistato contemplativo che è insieme percorso e meta. Chi si dedica costantemente alla coltivazione della propria capacità di pensiero non smette mai di crescere e è anche pronto a morire in qualsiasi momento perché lascia la Terra senza conti in sospeso.
La contemplazione implica l’isolamento, per questo potrebbe sembrare un’attività egoistica. Ma Seneca ci insegna che non è così. Anzi, ci presenta il saggio come un altruista che offre un servizio inestimabile alla comunità: con la sua dottrina predispone la vita anche per i non-saggi. Nelle ultime pagine del trattato l’autore dice a Paolino: «Nessuno di loro [i filosofi] ti costringerà a morire, tutti te lo insegneranno; nessuno di loro consumerà i tuoi anni […]. Otterrai da loro tutto ciò che vorrai; non saranno loro a impedirti di attingere quanto più puoi contenere». Gli suggerisce così di farsi contenitore, di arrivare pieno di vita all’appuntamento con la fine perché quando essa sopraggiungerà a contare sarà solo la qualità del tempo vissuto.
Foto di Mystic Art Design da Pixabay
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