I vociani e la poetica del frammento

I vociani

«Che la città mi pare/sia fatta immensamente vasta e vuota,/una città di pietra che nessuno/abiti, dove la Necessità/sola conduca i carri e suoni l’ore./A queste vie simmetriche e deserte/ a queste case mute sono simile./Partecipo alla loro indifferenza,/alla loro immobilità». Con questi versi della poesia Esco dalla lussuria. M’incammino della raccolta Pianissimo, il poeta Camillo Sbarbaro ci mostra una città moderna concepita come un luogo di solitudine e alienazione. L’ habitat ostile dell’uomo isolato e disilluso tipico della letteratura novecentesca, che viene descritto attraverso un linguaggio poetico nuovo. Un linguaggio frammentato e svincolato dalle regole della poesia tradizionale. 

La “poetica del frammento” e il verso libero

Siamo nell’epoca immediatamente successiva all’elaborazione della teoria della relatività di Einstein. Gli studi di Freud sull’inconscio sono già noti e Henri Bergson ha già teorizzato la sua concezione dinamica e in continuo divenire dell’esistenza. Siamo quindi già passati dalla concezione di una realtà lineare e oggettiva a quella di un reale complesso, relativo, contraddittorio; dall’idea di un uomo integro e gloriosamente proiettato verso il futuro tipica del Positivismo a quella di un’identità molteplice e debole, sempre più in conflitto con il proprio contesto storico-culturale. A inizio Novecento la criticità del rapporto tra l’uomo e la realtà e tra l’individuo e se stesso raggiunge l’apice. A questo punto le forme letterarie tradizionali non sono più sufficienti a esprimerlo. Subentrano così due innovazioni importanti: la “poetica del frammento” e il verso libero. 

Come riportato da Arnaldo Bocelli alla voce Frammentismo dell’Enciclopedia Treccani, al centro della poetica del frammento c’è «il concetto di poesia come brevità, come impressione, come immediatezza autobiografica, come folgorazione lirica dei sensi, fuori di ogni disegno e struttura, di ogni ordine logico di rapporti». Una poesia destrutturata che alterna pieni e vuoti, impressioni e silenzi segnati da frequenti segni di interpunzione. Portatrice di una musica dissonante, come dissonanti sono l’io e la realtà contemporanei. Una musica che segue il ritmo originale e tutto interiore di chi scrive, e che pertanto non può essere ingabbiata in schemi fissi. Occorre il verso libero, uno strumento estremamente flessibile capace di adattarsi alle personali esigenze espressive di ogni autore.

«La Voce» e i vociani

Sia la poetica del frammento che il verso libero sono elementi tipici del gusto dei vociani, ovvero gli autori che all’inizio del XX secolo pubblicano sulla rivista fiorentina «La Voce» diretta da Prezzolini e Papini. Per un periodo Sbarbaro è stato uno di loro. Si pensi che la raccolta Pianissimo è stata pubblicata nel 1911 presso le Edizioni de «La Voce». Le poesie che la compongono infatti sono tutte contrassegnate dal verso frantumato e libero (con frequenti enjambements, assenza di rime, svincolamento dalle leggi metriche…). 

Altri vociani importanti sono Clemente Rebora con i suoi Frammenti lirici (1913), Dino Campana con il simbolismo allucinato e visionario dei Canti orfici, Piero Jahier con il volume di prose e liriche Con me e con gli alpini pubblicato nel 1920, anch’esso presso le Edizioni de «La Voce». Un lettore d’eccezione della rivista sarà invece Giuseppe Ungaretti. Colui che nelle sue prime raccolte poetiche porterà il frammentismo alle estreme conseguenze, aprendo le porte alla grandiosa esperienza ermetica. 

Foto di Wilhei da Pixabay

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