Golpe in Turchia: Erdogan prima fugge, poi festeggia

downloadL’italiano medio, questa mattina, è stato sorpreso dalla notizia che, in un paese a un paio d’ore d’aereo dall’Italia -noto per essere meta di vacanze estive- la Turchia, è stato sventato un colpo di Stato che  ha provocato 265 morti, centinaia di feriti e migliaia di arresti. Non si è trattato di un golpe all’italiana, come quello organizzato nel 1970  da un gruppo di nostalgici e di guardie forestali guidati dal principe Junio Valerio Borghese, il quale, pure, era riuscito a entrare nell’armeria del Ministero degli Interni e a sottrarre qualche centinaio di fucili mitragliatori.

A Istanbul, alle 22 di venerdì scorso, sono stati chiusi entrambi i ponti sul Bosforo: i carri armati hanno percorso le strade della città bloccando le vie di collegamento principali, bloccando, anche, l’accesso all’aeroporto e tutti i voli in partenza e in arrivo sono stati cancellati. Nella capitale Ankara, i reparti ribelli dell’esercito hanno assaltato la sede centrale della polizia uccidendo almeno 17 poliziotti, mentre i cieli erano continuamente sorvolati da jet ed elicotteri. Un colpo di cannone è stato esploso anche sul Parlamento, causando alcuni feriti; l’emittente statale Trt e la tv privata Cnn Turk, entrambe occupate. Il premier Erdogan è riuscito a scappare in aereo, ma non è chiaro dove abbia potuto trovare rifugio -c’è chi dice in Germania, chi in Qatar-.

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Alle ore 23 locali, l’esercito annunciava via mail di «aver preso il potere in Turchia per ristabilire l’ordine democratico e la libertà e far rispettare i diritti umani», mentre «gli accordi e gli impegni internazionali della Turchia» sarebbero rimasti validi. Il Capo di Stato maggiore, Hulusi Akar, fedele al presidente, è stato preso in ostaggio.

Poco dopo Erdogan si è fatto sentire (e vedere) in streaming, mediante il social Facetime, arringando la Nazione: «Sono ancora il presidente della Turchia ed il comandante in capo dell’esercito: resistete al colpo di stato nelle piazze e negli aeroporti» – ha detto».   Così,  centinaia di cittadini fedeli al presidente si sono  riversati nelle strade, scontrandosi con le forze armate e il tentativo di colpo di Stato ha cominciato  a sgonfiarsi, dato che i militari non hanno voluto sparare sulla folla. Quando la popolazione ha, a sua volta, preso d’assalto la sede della tv di Stato, i golpisti hanno preferito abbandonare gli studi.

A quel punto, Erdogan è tornato a Istanbul, dove è stato accolto da una folla festante che sventolava bandiere turche e inneggiava ad Allah.  In diretta televisiva, il Presidente ha descritto l’accaduto come «una pagina nera per la democrazia in Turchia», elogiando polizia e le forze di sicurezza e annunciando che “i traditori” ,che hanno tentato di rovesciarlo, «pagheranno un caro prezzo». I leader internazionali – Barack Obama e Angela Merkel, in primis – si sono espressi in favore di Erdogan, annunciando di sostenere «il governo della Turchia democraticamente eletto”, così come lo Stato Maggiore della NATO».   

Un passo indietro nella storia

Detto ciò, la materia del contendere non è soltanto un bieco gioco di potere tra due parti in causa. Le parti lottano tra loro per una diversa concezione dello Stato turco e per capirne qualcosa, l’uomo della strada occidentale deve andarsi a rileggere la storia.

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Sino al 1922, la Turchia è stata sede dell’Impero Ottomano, dove il Sultano, capo dello Stato era anche la massima autorità religiosa islamica. Un po’ come gli antichi califfi di Baghdad, il sovrano attuale dell’Arabia Saudita, il leader di Daesh e la guida della rivoluzione iraniana. Dopo la sconfitta nella Prima guerra mondiale prese il potere il generale Kemal Ataturk, nato a Salonicco quando quest’ultima era una città ottomana, con una percentuale altissima di religione ebraica.

Ataturk era stato iniziato alla massoneria e non credeva nell’Islam. Giunto al potere con il favore dell’esercito, operò una profonda laicizzazione ed europeizzazione dello Stato: abolì l’alfabeto arabo,  impose formalmente la parità uomo-donna (a cui proibì di indossare il velo), limitò all’osso le prerogative dei ministri di culto. Nel frattempo, l’elemento turco era divenuto, per la prima volta maggioritario nella composizione della popolazione; in parte per le perdite territoriali della Prima guerra mondiale; in parte perché Ataturk aveva completato il genocidio degli Armeni, già avviato dai Sultani; in parte perché per prendere il potere, aveva espulso e massacrato centinaia di migliaia, forse milioni, di greci dell’ex-Impero. Lo Stato turco divenne così una repubblica nazionalista, laica, ma in mano ai militari.

Alla morte del “padre della patria” furono le Forze Armate ad assumersi il compito di salvaguardare la laicità e la modernità delle leggi dello Stato, magari effettuando periodicamente il loro bravo colpo di Stato (ne hanno fatti cinque, oltre a quello recente!) e poi riconsegnando il paese alle libere elezioni.

Poi arrivò Erdogan che, pian piano, cominciò a deviare dai principi fondamentali di Ataturk. Si appoggiò all’elemento islamico e volle mostrarsi, in Patria e all’estero, come il continuatore ideale dell’antico Impero. Non a caso, all’estero, hanno preso a chiamarlo “il sultano” e, quando è rientrato a Istanbul dopo la precipitosa fuga dell’altro giorno, ha salutato la folla con il gesto dei Fratelli musulmani.

Erdogan ha in mente di islamizzare nuovamente la Turchia anche se difficilmente potrà introdurre nuovamente la shariah, dato il ruolo internazionale assunto dal paese euro-asiatico dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Alle potenze europee, tuttavia, basta che la Turchia resti saldamente in ambito NATO e controlli i rubinetti di gas e petrolio arabico e il flusso dei migranti provenienti dall’Asia a loro uso e consumo, il resto è secondario. Ma questo ritorno al passato, all’esercito non sta bene lo stesso. Questi i motivi del sesto golpe militare dell’era post-ottomana che, per la prima volta è fallito.

Il “sultano”, tuttavia, mira a porsi alla testa del gruppo di Stati islamici di etnia turca o turcomanna, soprattutto ex-sovietici. E ciò, non è tanto gradito a Vladimir Putin. Ambirebbe anche a mettere il naso nelle questioni libiche e a commerciare petrolio con Daesh, affrancandosi così dalle fonti energetiche del Golfo. E ciò, invece, non piace alle potenze occidentali. Se quindi, per quanto riguarda la politica interna, è riuscito a sventare il pericolo,  in politica estera deve prestare attenzione a non pestare i calli ad avversari molto più potenti dei golpisti dell’esercito turco.

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