Il ballottaggio in Turchia

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Vento favorevole per Erdogan prima del ballottaggio in Turchia: Sinan Ogan, terzo classificato al primo turno, ha annunciato il suo sostegno al presidente in carica. “Invito gli elettori che hanno votato per noi al primo scrutinio a votare per Erdogan al secondo scrutinio”. Queste le sue parole. Per giorni si era speculato sulla scelta di Ogan dopo aver ottenuto il 5,17% dei voti al primo turno.

La partita tra Recep Tayyip Erdogan e Kemal Kilicdaroglu non è una lotta leale tra due oppositori alla pari. Erdogan sfrutterà i vantaggi organizzativi, finanziari e mediatici che gli derivano dall’essere presidente. Ottenendo il 49,52 % al primo turno Erdogan ha mancato la maggioranza assoluta richiesta per essere riconfermato alla presidenza della Turchia. Domenica 28 maggio affronterà nuovamente lo sfidante Kilicdaroglu che ha ricevuto il 44,88 % dei voti. 

Un contributo determinante alla vittoria di Erdogan sarà dato dal voto dei cittadini turchi all’estero, in particolare quelli che vivono i Germania che sono circa tre milioni. Al primo turno il 65,4 % ha votato per il presidente, Kilicdaroglu ha ricevuto il 32,6 % dei voti. Il fatto che all’estero Erdogan ottenga tanti consensi è un aspetto meritevole di un approfondimento. 

Sei anni fa al referendum che avrebbe rafforzato il sistema presidenziale, dando superpoteri ai presidenti in carica, il sì dei turchi tedeschi fu schiacciante e pose una serie di quesiti sui quali la società turca si interrogò a lungo. Ma fu subito chiaro che il successo di Recep Tayyip Erdogan era ascrivibile al suo essere l’uomo forte contrario all’Europa, al sultano che nell’ultimo decennio si è saputo destreggiare a livello internazionale traendo vantaggio dalle contraddizioni geopolitiche che caratterizzano il ruolo della Turchia. Un paese ponte tra Occidente ed Oriente, militarmente nella NATO, divenuto con Erdogan ago della bilancia su questioni formidabili come la gestione dei flussi migratori, la guerra siriana, il conflitto in Ucraina, il controllo del traffico navale nel Mar Nero e nel Mediterraneo.


Sul versante interno il terribile terremoto dello scorso febbraio con oltre 50.000 vittime accertate ha riacceso le critiche nei confronti del presidente e della sua politica accusata di favorire la corruzione. L’emergenza ha innescato una protesta che ha messo in evidenza forti divisioni in seno alla società turca, divisioni, che affondano le loro radici nella storia degli ultimi decenni e che si erano esacerbate, manifestandosi in modo destabilizzante, con violente proteste verso il governo e frequenti atti di terrorismo. Il tentato golpe dell’autunno 2016 fa storia a sé, ma è comunque espressione di questa spaccatura.

Un’altra considerazione emerge dalle differenze geografiche del voto. Nelle grandi città, come Istanbul, Ankara e Ismir, i cittadini turchi hanno votato contro Erdogan. Contro hanno votato anche le aree geografiche più orientali, abitate in prevalenza da popolazioni di etnia curda, da sempre desiderose di indipendenza dal governo centrale. Contro il presidente hanno votato, in generale, anche le aree geografiche occidentali, affacciate al mediterraneo e più vicine all’Europa.


Ci si sarebbe aspettati che per il cambiamento votassero anche i cittadini turchi che vivono in Europa. Ci si sarebbe aspettati che il loro voto evidenziasse l’emancipazione raggiunta vivendo lontani dai confini nazionali. Paradossalmente invece è proprio in Europa che il voto ha evidenziato le contraddizioni maggiori. 

Una cosa è certa. L’era in cui a Bruxelles si discuteva se accogliere o meno la Turchia nella Unione Europea è definitivamente finita. Col l’annunciata vittoria di Erdogan i rapporti con il grande paese a cavallo tra Asia e vecchio continente rimarranno problematici. Allorché verrà negoziato la pace tra Russia e Ucraina, al tavolo del negoziato sarà presente certamente anche la Turchia che ne trarrà vantaggi nei rapporti di forza internazionali. L’Europa continuerà a non essere in grado di influenzare con la propria politica una regione di importanza cruciale per la stabilità. Continuerà ad essere sottoposta alla minaccia dei flussi migratori usati come arma e mezzo di ricatto politico. Niente di nuovo. Resta però il rammarico di non aver fatto il possibile per tentare di integrare la Turchia venticinque anni fa, prima dell’11 settembre e in condizioni geopolitiche ben diverse dalle attuali.

Nella foto, di Eduart Bejko da Pixabay, la Basilica di Santa Sofia a Istambul, Turchia

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