Addio a Jannacci: il genio scanzonato

_jannacci1E’ morto Enzo Jannacci, uno degli ultimi autori intellettuali del panorama italiano. Ironico e distaccato, aveva diviso la sua vita tra musica e medicina.

In effetti era avviato ad una carriera medica di tutto rispetto, che lo vedeva a fianco del cardiochirurgo Barnard. Lavorò in Sudafrica e negli Stati Uniti, ma un’ernia al disco gli impedì di continuare a operare. Proprio i malati che incontrava di giorno, spesso divenivano il soggetto delle sue ballate.

Il pugliese trapiantato a Milano è stato sconfitto da un male che l’ha divorato senza pietà e come succede spesso in questi casi, improvvisamente la scomparsa di un artista, per ironia della sorte, ne suggella il mito in via definitiva.

Dario Fo, suo “padre putativo” e grande maestro, rimpiange quel suo “ragazzo” su fb .

Ripercorriamo le tappe della vita e della carriera di Enzo.

Al Santa Tecla di Milano si esibisce con altri intellettuali del calibro di Gaber, Paolo Tomelleri, Gianfranco Reverberi, Luigi Tenco e Adriano Celentano. Gaber diceva “Eravamo dei disgraziati: jazz e rock con Jannacci, Tenco sassofonista tormentato, Celentano cavallo bizzarro. Non provava mai, così lo sostituivo io ed ho imparato a cantare”.

Il gruppetto di amici-cantautori-intellettuali-geniali ,cercava di trovare un linguaggio diverso da quello consueto, prendendo spunto dalla canzone napoletana e soprattutto quella francese, come La “Rive Gauche” che chiaramente rispetto al rock, offriva un terreno più vicino all’indole degli artisti e praticabile con maggiore originalità.

Proprio per inseguire l’autonomia e la “sincerità” di “intenti”, nacquero alcune tra le canzoni più alternative dell’epoca, come “la gatta” di Gino Paoli, “il nostro concerto” di Bindi, “non arrossire” che evitavano fermamente la colonizzazione musicale da parte dell’America .

L’elemento che ha sempre caratterizzato Enzo era la sua ironia anticipatrice: come dimenticare le sue canzoni in dialetto milanese, tabù in un periodo in cui la purezza linguistica senza accenti e cadenze caratterizzava il panorama artistico nel periodo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.

Come dimenticare i suoi inconfondibili giochi di parole, i nonense irriverenti o i temi arditi in cui si narravano le storie di prostitute, barboni e gente di malaffare, della sua Milano, ma anche del resto d’Italia.

Una delle canzoni che meglio rappresenta l’originalità tematica era “Sun chi”, che portava la firma di Dario Fo: narrava una storia assai comune:quella dell’immigrazione della gente del Sud nel tentativo di cavalcare l’onda di un boom economico, che tuttavia spesso finiva per ritornare indietro con un pericoloso effetto boomerang.

Lo ricordiamo al Teatro Girolamo con il Signor G (Gaber) con cui si esibisce nello spettacolo “Il Giorgio e la Maria”. Sempre con Gaber lo ritroviamo negli anni ’80: si tratta di una coppia sbalestrata capace di precorrere i tempi del rock demenziale, attraverso la stampa di un Q-disc in cui rileggono, con grandi musicisti jazz, quattro brani di quei loro esordi. Con il nome di Ja Brothers, scimmiottano i Blues Brothers e ripropongono “tintarella di luna”, “24 ore”, “Birra” e “una fetta di limone”. Ancora con Gaber lo troviamo nella tournèe del  1989/90 e 1990/91 “Il Grigio”, in cui viene messo in scena “Aspettando Godot” scritto nel 1948 da Samuel Beckett, ultimo autore classico della storia contemporanea, affrontato con la spudoratezza di cui sono capaci due “non attori”.

Gaber, è il direttore artistico del Teatro Goldoni di Venezia e apre la strada a un mondo teatrale “sclerotizzato” e incapace di attrarre i giovani. Da qui la scelta di portare in scena personaggi,  “ espressione di emarginazione metropolitana e soprattutto esistenziale”. Anche la scelta della regia è piuttosto controcorrente, tra cui quella di proporre Enzo Jannacci, il cantautore-amico, non attore, l’attore classico Felice Andreasi e il comico Paolo Rossi.

L’originale “Aspettando Godot” Gaber-Jannacci ebbe tanto successo che fu ripreso nel maggio 1991 a Milano con Giuseppe Cederna al posto di Paolo Rossi.

Jannacci fu inoltre il conduttore del programma “Gransimpatico”, varietà del 1983 in quattro puntate trasmesso dalla Rai;  collaborò a lungo con la Rai, negli anni del Derby,  fucina di artisti genialoidi e fu il direttore artistico del locale in via Monte Rosa.

Tra le canzoni storiche ricordiamo “Vincenzina” e “la fabbrica” scritta in tandem con Beppe Viola e tradotta da Monicelli in cinema con “Romanzo Popolare”.

di Redazione

foto: agi.it

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