La croce: fonte di vittoria e trofeo che anticipa la nostra gioia

pasqua“Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui” (Mc 16,6). Sono queste le parole che il messaggero di Dio, vestito di luce, rivolge alle pie donne giunte al sepolcro per imbalsamare, secondo l’usanza giudaica, il corpo esanime di Gesù. Ma la vicenda del Maestro, apparentemente finita, continua e non sarà una croce ad interromperla, né un sepolcro, né la corruzione del corpo.

La gioia di questo giorno santo annuncia al mondo intero che Gesù non è un personaggio del passato ma è il Vivente, Colui che cammina avanti a noi e che ci chiama a seguirlo per risorgere con Lui. Scendendo dal monte della Trasfigurazione verso Gerusalemme, i discepoli si erano già chiesti cosa volesse dire il Maestro quando parlò loro di “risurrezione dai morti” (Mc 9, 10). E questa è la domanda che vogliamo porci anche noi: “Cosa significa risuscitare dai morti?” La risurrezione di Cristo è una dimensione che l’intero corso della storia e quello della vita in tutti i suoi sviluppi non aveva mai conosciuto prima di Gesù. Ma cos’è accaduto nel sepolcro? In mezzo a tante domande rimane solo una certezza: Gesù non sta più lì perché è impensabile che l’Autore della vita, Colui per il quale tutto è stato creato, restasse prigioniero della morte e della corruzione.

Possiamo entrare in punta di piedi, appena un poco, nel grande mistero della risurrezione, definendolo come una singolare esplosione di luce e di amore, la cui forza indomita è riuscita a distruggere anche la grande pietra tombale posta all’entrata del sepolcro. Agli occhi dei profani, non è facile ammettere che la resurrezione di Gesù abbia inaugurato un’altra fase della vita umana, una nuova dimensione nella quale trova posto anche la materia, da cui emerge un mondo nuovo. Sì, Gesù, è risorto con quel corpo, provato poco prima dai segni della Passione, un corpo che a partire dalla Pasqua si trasfigura ed è glorioso.

Quello della risurrezione è un avvenimento che non rimane radicato nel passato, non è, quindi, un miracolo come tanti altri, destinato forse ad occupare le stanze della nostra indifferenza; è un vero e proprio salto di qualità verso la pienezza di una vita più bella, di una nuova esistenza che, a partire da Cristo, incide continuamente su questa realtà, trasformandola di bene in meglio. Come? La risposta è semplice ma anche sorprendente: la Risurrezione di Cristo non è un avvenimento nascosto, ma si fa conoscere a noi mediante la fede e il Battesimo. Nel Battesimo, infatti, Cristo mi afferra per attirarmi a sé; il Battesimo, perciò, supera il mero concetto di “socializzazione ecclesiale”, di lavanda o di purificazione; esso è realmente la mia morte e la mia risurrezione, la mia rinascita, la trasformazione del mio essere in una nuova vita. L’Apostolo Paolo, scrivendo ai Galati, sintetizza mirabilmente questa grande verità: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20).

La risurrezione, dunque, non è una vicenda passata perché essa ci ha raggiunti attraverso Cristo e ci ha afferrati; essa è una persona viva, vera: Gesù di Nazareth, che ci tiene stretti a Lui anche se le nostre mani si indeboliscono a causa della violenza, del potere, della corruzione e del peccato. “Io vivo e voi vivrete” (Gv14, 19), dice Gesù ai suoi discepoli e oggi, che insieme a Lui celebriamo la nostra Pasqua, lo ripete anche ad ognuno di noi. Vivere in Lui significa assumere seriamente un impegno: quello cioè di mettere in atto la meravigliosa esperienza della comunione tra noi ed accogliere con amore, soprattutto oggi, il dono, spesso incompreso, della sofferenza. Quanto è difficile! Eppure la croce è fonte di vittoria, il trofeo che anticipa la nostra gioia; vivere alla luce della fede “con” e “nella” sofferenza ci rende simili a Gesù. Voler eliminare la sofferenza dalla nostra vita ad ogni costo significa non anelare alla risurrezione.

Chi di noi non vorrebbe risorgere per sconfiggere definitivamente la precarietà della condizione umana? Pensiamo agli Apostoli, guardiamo a Maria ma anche a quanti non avevano cessato di sperare in Gesù: capiremo che la nostra vita non è definitiva ma provvisoria e, perciò, impariamo a riscoprire sempre di più l’atteggiamento tipico dei primi cristiani che, abbandonando con coraggio “l’uomo vecchio” dei vizi e delle passioni, vivevano tutti da risorti. La tradizione ci racconta che quando ci si incontrava – ed è emblematico – il saluto che ci si scambiava era: “Cristo è risorto!”.

Oggi tutto ciò si è smarrito nella notte dei tempi. È evidente che i primi cristiani consideravano la risurrezione di Gesù come una grande certezza: Egli è davvero il Salvatore del mondo e tutto il resto, dinanzi a Gesù, diventa ulteriormente relativo. Oggi più che mai occorre custodire gelosamente la nostra fede e con essa conservare anche la gioia che il peccato, latore di tristezza e di tenebra, vorrebbe sempre strapparci. “Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”, ci dice S. Paolo nella seconda lettura.

Quindi, anche se è Pasqua, non vanifichiamo il cammino percorso in Quaresima, tempo durante il quale ci siamo sforzati di abbandonare le cose della terra e di rivolgere i nostri cuori verso il cielo. Non dobbiamo pensare che il cammino quaresimale si arresti a Pasqua. Non solo in Quaresima, ma in ogni momento della vita dobbiamo desiderare di stare con Gesù. Perciò, continuiamo a seminare nei campi del Signore ma iniziamo anche a raccogliere quei frutti che iniziano a nascere da ciò che finora abbiamo seminato con l’aiuto di Dio. Solo così saremo immagine viva del Risorto; solo così potremo dare vera gioia e pace a chi ancora non ce l’ha.

di Fra’ Frisina

foto: parrocchiasanpietro.it

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