Il Senato della Repubblica ha iniziato ad approvare i primi articoli del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili. Una proposta di legge, quella della giovane senatrice del PD, che continua a dividere l’opinione pubblica, la quale, forse – come spesso accade, in Italia – si esprime senza conoscere esattamente i contenuti della materia del contendere.
Nel caso di specie, la contrapposizione tra le differenti posizioni si è evidenziata non solo nell’aula del dibattito ma, soprattutto, in piazza. Il 23 gennaio, scorso, infatti, in 98 città d’Italia, hanno manifestato i sostenitori del disegno di legge. Siamo un milione, hanno proclamato gli organizzatori. Sei giorni dopo, gli avversari del ddl hanno organizzato il “Family day” al Circo Massimo di Roma e, per non essere da meno, hanno affermato che alla loro ne erano giunti due milioni.
A ingarbugliare ancor più la situazione, ci si è messa la leader del movimento “Fratelli d’Italia”, Giorgia Meloni che, di fronte alla folla del “Family day” ha esternato la sua completa adesione ai principi della famiglia matrimoniale (e, quindi, contraria a quelli del ddl Cirinnà), non foss’altro che per il fatto di essere attualmente incinta ad opera del suo attuale convivente (?).
Di fronte alla generalizzazione e alla confusione delle opinioni contrapposte, non è inutile evidenziare ancora una volta i punti salienti della materia del contendere.
Il disegno di legge è volto a dotare l’ordinamento legislativo della disciplina per un duplice riconoscimento giuridico: quello delle coppie formate da persone dello stesso sesso e quello dei diritti delle coppie di fatto; in quest’ultimo caso si tratta – a ben guardare – di una riorganizzazione e riconduzione ad un unico testo, adeguatamente integrato, di norme già esistenti e sparse in differenti contesti.
Il riconoscimento giuridico tra persone dello stesso sesso, nella proposta di legge, è denominato “unione civile” e non “matrimonio”, che resta una specifica fattispecie giuridica riservata alle coppie eterosessuali. La costituzione dell’unione civile è registrata in un apposito atto di stato civile, custodito dal Sindaco del comune di residenza della coppia, che si aggiunge agli altri previsti dalla normativa esistente (matrimonio, nascita, morte ecc.).
Con l’unione civile sorgono, nei confronti degli/delle “unendi” reciproci obblighi di mutua assistenza e di contribuzione ai bisogni comuni, nonché i diritti riconosciuti al coniuge in materia di successione. Le disposizioni vigenti, in materia di scioglimento del matrimonio sono estesi anche all’unione civile; a ciò si aggiunge il caso di nullità in caso di precedente legame (anche matrimoniale) vigente per una o entrambe le parti. In caso di rettifica del sesso di una persona legata da unione matrimoniale, il matrimonio si trasforma automaticamente in unione civile.
L’articolo del ddl, fonte di maggior dibattito, è quello che reca una modifica alla legge n. 184/83 sulle adozioni, in quanto permette a una parte dell’unione civile di ricorrere all’adozione non legittimante nei confronti del figlio naturale dell’altra parte. L’adottando (o l’adottanda), in tal caso, verrebbe adottato/a da due genitori dello stesso sesso. Va precisato comunque: a) che tale previsione è applicabile solo nel caso che un soggetto abbia avuto un figlio da precedente matrimonio o da un legame “di fatto” e poi abbia scelto l’unione civile con persona dello stesso sesso; b) che l’altro genitore naturale dell’adottando sia consenziente; c) che l’adottando, se ultraquattordicenne, sia consenziente (l’adottando ultradodicenne va comunque sentito dal giudice competente). E’ quindi una previsione abbastanza specifica.
La seconda parte del ddl norma il riconoscimento giuridico della convivenza di fatto, sia per quanto riguarda le coppie di diverso sesso che per quelle omosessuali che non scelgono il regime dell’unione civile. La novità principale è l’introduzione del “contratto di convivenza”, cioè un accordo, redatto in forma pubblica e di fronte a un notaio, con il quale i conviventi disciplinano i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune; le parti possono anche prevedere il regime di comunione dei beni. Sono previsti anche casi di nullità e modalità di risoluzione del contratto di convivenza (accordo tra le parti, recesso unilaterale, successivo matrimonio o unione civile).
Altri diritti riconosciuti ai conviventi (anche non legati da contratto di convivenza) sono l’obbligo di mantenimento o alimentare in caso di cessazione della convivenza di fatto e il riconoscimento, al convivente che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro, una partecipazione agli utili ed ai beni dell’impresa familiare. Altri diritti previsti – come detto – sono, in realtà, la riconduzione ad un unico testo di norme già esistenti, o quanto meno già operanti, come la successione nel contratto di locazione, il titolo di inserimento nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi di edilizia popolare, la possibilità di nominare tutore, amministratore di sostegno o curatore il convivente della parte dichiarata interdetta o inabilitata.
Chi scrive non vuole contribuire ad allargare ulteriormente il dibattito, già infiammato a dismisura, per quanto riguarda il tema delle unioni civili e gli spiragli aperti dal ddl Cirinnà sul piano delle adozioni da parte di persone dello stesso sesso. Ci limitiamo pertanto ad alcune osservazioni di rilievo marginale, in particolare sulle parte relativa alla regolamentazione delle convivenze di fatto.
Prima osservazione: il “grande sconfitto”, una volta approvato il ddl, non è il matrimonio religioso; in ciò, i cattolici – a nostro parere – hanno torto ad agitarsi. Le norme concordatarie, infatti, restano immutate e chi decide di avvalersene per celebrare le proprie nozze, può continuare a farlo in modo indisturbato. Né si comprende quali possano essere le difficoltà morali che possano sorgere per chi considera il proprio matrimonio un sacramento religioso. Il “grande sconfitto” è il matrimonio civile.
I nonni di chi scrive, infatti, entrambi mangiapreti, circa un secolo fa, avevano chiara, di fronte a loro, la scelta da fare: o ci si sposava o si andava a convivere. Le due facoltà erano alternative e prevedevano un differente “modus vivendi”. Una coppia dei miei nonni si sposò in comune e l’altra scelse di convivere. Con le norme della Cirinnà, invece, gli effetti giuridici delle due fattispecie saranno esattamente gli stessi, con la conseguenza che il “matrimonio laico” è – di fatto – svuotato di ogni significato – e il registro anagrafico diventa soltanto un atto utile per registrare gli effetti civili del matrimonio religioso concordatario. Il compianto sindaco di Roma Ernesto Nathan si starà rivoltando nella tomba.
di Federico Bardanzellu
Fonte foto: Aska News
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