(ENPA) – La stagione venatoria 2015-2016, che vede la sua conclusione domenica 31 gennaio, verrà ricordata non soltanto per l’elevato numero di vittime umane della caccia o per la reiterata inadempienza delle regioni italiane, Piemonte e Toscana su tutte, nei confronti delle normative italiane ed europee, ma, anche e soprattutto, per il boom di morti e feriti tra gli animali d’affezione, il più delle volte presi a fucilate mentre se ne stavano tranquilli all’interno di giardini privati.
Così è stato – ad esempio – per la cagnetta Queena che, colpita nei pressi dell’abitazione dell’Anconetano dove viveva con i suoi proprietari, è stata ridotta in fin di vita da centinaia di pallini. E così è stato anche per il povero Adamas, un border collie ucciso da un cacciatore in Friuli con due fucilate; ironia della sorte, il suo proprietario era un cittadino di Sarajevo rifugiatosi in Italia per non sentire più alcun colpo di fucile. Queena e Adamas purtroppo non sono i soli: l’elenco delle “altre” vittime della caccia è ancora molto, troppo lungo.
«Stimiamo che soltanto quest’anno le “doppiette” abbiano ucciso, oltre a milioni di animali selvatici, e tantissimi esemplari appartenenti a specie protette e rare, anche alcune centinaia di animali d’affezione. La responsabilità di queste morti – spiega Andrea Brutti, dell’Ufficio Fauna Selvatica di Enpa – non è soltanto di chi preme il grilletto, ma anche di chi non presidia il territorio con una seria ed efficace attività di controllo e prevenzione. Così si assiste ad una pericolosa “militarizzazione” dei nostri boschi e delle nostre campagne, mentre le istituzioni, sempre pronte a colpevolizzare gli animali selvatici di causare incidenti, tacciono sui morti e sui feriti causati dai fucili, dati in mano, spesso, a ultrasettantenni senza adeguati controlli psicofisici. Controlli di certo insufficienti: com’è possibile infatti che troppo spesso non siano rispettate ad esempio, le distanze di sicurezza in un territorio, quello italiano, fortemente cementificato e antropizzato?».
Questa situazione, secondo Enpa, è il frutto di quella che appare come una crescente e preoccupante smobilitazione nei confronti dei reati contro l’ambiente e contro gli animali. «Se da un lato dobbiamo fare i conti le Regioni, Piemonte e Toscana su tutte, che continuano a violare le norme italiane ed europee, fino a disconoscere i provvedimenti del nostro stesso Governo, come nel caso dello stop alla caccia ai turdidi, dall’altro – prosegue Brutti – ci troviamo a fare fronte al vuoto creato dallo smantellamento del Corpo Forestale dello Stato, l’unico corpo, insieme alla Polizia Provinciale, specializzato nelle attività di controllo, prevenzione, contrasto ai crimini ambientali».
In un contesto così congeniale al proliferare dell’illegalità, Enpa è presente con i propri volontari e con il proprio ufficio legale per porre quanto meno un argine. Solo nel 2015 l’associazione è stata presente in decine di procedimenti giudiziari contro i cacciatori e bracconieri ed ha condotto efficaci “azioni” di disturbo, come a Belluno e a Padova contro gli spari alle volpi. «In anni segnati dai cambiamenti climatici e da uno stato di sofferenza sempre più acuta della biodiversità – conclude Brutti – è impensabile si possa ancora sparare per una presunta forma di divertimento, e si possa tenere bassa la guardia sui controlli. Con il rischio che il nostro Paese, cioè tutti i cittadini italiani, si vedano costretti a pagare multe salatissime all’Europa per le tante violazioni. Una su tutte: in italia è consentito persino sparare a 19 specie in stato di conservazione sfavorevole».
Fonte: Enpa.it
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