
L’altra notte ho fatto un sogno irreale (come sostengono i neurologi) ma terribilmente significativo (come affermano gli psicanalisti). Mi ha tanto colpito che al risveglio mi sono sforzato di riportarlo per iscritto il più fedelmente possibile. Mi appariva Gulliver e mi consegnava il diario del suo ultimo viaggio nel quale annotava tutte le sue scoperte e osservazioni con anacronistico riferimento al nostro tempo e al nostro paese, che lui chiama Stranopoli. Ed eccone il testo che nella mia ricostruzione mnemonica apparirà un po’ sconnesso, un po’ disordinato, fatto di notazioni estemporanee o casuali, dettato dalla sorpresa.
Gli stranopolesi
Gli Stranapolesi vivono praticamente inscatolati. Scatole sono le loro case, suddivise in scatole più piccole, scatole i loro luoghi di lavoro, scatole i loro mezzi di trasporto privati o collettivi. Prediligono i mezzi privati ma scelgono quelli più ingombranti. Nonostante le strade cittadine siano diventate inadatte alla mole del traffico, essi, con i lori enormi SUV, attrezzati per la savana e il deserto, vanno in centro a prendere il caffè. Se si muovono a piedi lo fanno solo perché a ciò li costringono i loro cani ai quali sono per lo più collegati da una specie di corda. Il percorso è deciso dagli animali che seguono un loro itinerario alla ricerca di tracce dei loro consimili da annusare o di alberi e pali presso i quali orinare e defecare. A questa schiavitù i presunti padroni non si ribellano ed anzi si svegliano ad ore antelucane o si muovono nel cuore della notte per consentire ai loro veri padroni di espellere le feci che essi (gli uomini non gli animali) spesso raccolgono e confezionano in appositi contenitori.
Le cose
Teoricamente la gente godrebbe della più ampia libertà di movimenti ma oltre che ai cani vive collegata alle cose. Non ha mai le mani libere, porta con sé sempre un oggetto, sia un bastone, un ombrello, una borsa, un carrello, ma soprattutto una scatoletta chiamata cellulare. La guarda, la consulta, parla ed ascolta attraverso di essa. Ho visto parecchie persone, sedute intorno ad un tavolo o adagiate nello stesso letto, comunicare in tal modo. Con il loro cellulare all’orecchio camminano, guidano, mangiano, riposano e parlano. Parlano in continuazione, ad alta voce, come se fossero soli ed isolati. Sembra che un’urgenza minacciosa e indifferibile li condanni ad una comunicazione ininterrotta. Comunicare cosa? banalità.
L’informazione
Oltre a ciò, le persone passano gran tempo davanti ad un’altra scatoletta un po’ più grande (chiamata computer) che è molto utile per scambiare informazioni ed acquisire nozioni, ma questa magica piattaforma di scambi (chiamata Web) viene usata per sostituire la compresenza e il contatto fisico e portarsi in una dimensione irreale che simula la vita. Questi strani soggetti sono immersi in un oceano di informazioni cui provvedono oltre ai cellulari e ai computer di cui ho detto altri schermi leggibili: i cartelloni e le scritte murarie, quei mezzi di rappresentazione visiva in movimento che chiamano cinema e televisione. Questa informazione diffusa ha tre scopi fondamentali: A- raccontare fatti, B -formare opinioni, C-indurre a comprare cose d’ogni genere.
A-La comunicazione dei fatti è del tutto insensibile alla loro natura e dà loro uguale risalto sia che si tratti d’una strage sanguinosa o del tripudio d’una folla allo stadio, delle nozze d’una star o di un feroce femminicidio.
B-La formazione di opinioni si rivolge ad una platea che si sa in partenza avere già un’opinione radicata e non esser disposta a cambiarla. Ciascuno legge il giornale della sua parte politica e segue gli altri media (un termine latino divenuto neologismo) secondo lo stesso criterio. È una sorta di settarismo tenace. Tutti, ad esempio, si professano democratici ma se il partito avverso vince le elezioni si grida al broglio e si inscenano proteste e disordini
C -Alla induzione all’acquisto provvede la pubblicità. Questa attività è diventata un servizio fine a sé stesso. Si fa pubblicità a cose che già dominano il mercato. Si fa pubblicità per riempire i tempi intermedi degli spettacoli, coprire i muri nudi, per rompere il silenzio. Si fa pubblicità per fare pubblicità. I cosiddetti “creativi” inventano trovate, motti, scenette che non hanno alcun nesso col prodotto. Il destinatario ne gode e ne sorride ma non ricorda poi qual fosse il prodotto propagandato: un’auto, un purgante o un vestito?
La moda
La moda è un fenomeno inspiegabile. Un ente misterioso, un soggetto magico, decide che ci si vesta in un certo modo e il pubblico, per lo più femminile, obbedisce al diktat. Le sfilate di moda mostrano sogni, non abiti, e sono sogni irrealizzabili. Le modelle giovanissime, magrissime, sfilano veloci e senza sorriso indossando vesti inadatte alla gente comune in circostanze comuni davanti a signore attempate e in sovrappeso che dovrebbero andare a fare la spesa addobbate come Salomè. Ma una regia inspiegabile determina scelte inspiegabili di segno decisamente contrario: uomini e donne vestiti elegantemente dalla vita in su dalla vita in giù indossano brache sdrucite dagli orli sfilacciati, dai buchi vistosi sul ginocchio, dai lunghi strappi sulla gamba. C’è sempre un intellettuale di pronto soccorso a fornirne un improbabile significato.
I prodotti di bellezza, i centri estetici, le strutture igienico- sanitarie operano come se le donne fossero tutte brutte, sgraziate, precocemente invecchiate, grasse, stitiche e incontinenti. E le donne se non lo credono lo temono. Donne del tutto normali rubano il tempo al sonno per truccarsi al mattino e struccarsi alla sera. Donne ancor belle e piacenti ricorrono alla chirurgia estetica sfigurando il viso che diventa una maschera inespressiva. Questo tipo di convincimento umiliante è sotterraneamente guidato dagli uomini, suggerito se non imposto dagli uomini, mascherato da cura verso le donne in un clima di maschilismo negato ma ancora imperante in questo paese.
Contrasti
Qui tutto è improntato ad un desiderio di diversità. Tutti vogliono cambiare: gli uomini ostentano virilità ma poi indossano orecchini e gioielli, si tingono il volto, si acconciano i capelli bizzarramente. I vecchi vogliono apparire giovani, i poveri sembrare ricchi. I preti e i gay vogliono sposarsi, gli sposati vogliono divorziare. I politici condannano la guerra ma poi la giustificano e sia pure indirettamente la alimentano. Personalmente in guerra non ci sono mai andati e non ci andrebbero mai. In questo Pese dei contrasti il tema del sesso sembra dominante. Si riempie di sesso la letteratura, l’arte figurativa, lo spettacolo, la pubblicità, ma le statistiche dicono che la fertilità diminuisce e la frequenza della sua pratica altrettanto. Addirittura si fa sesso virtuale sul Web una modalità che sta al sesso reale come il Bird Watching sta alla caccia al cinghiale.
Quanto all’Amore se ne fa un mito intellettuale, la meta ultima, l’ideale imprescindibile. Questo in teoria, nella realtà il numero dei divorzi supera quello dei matrimoni, le unioni libere sfociano in libere separazioni, all’interno di molte coppie pur durature volano insulti, schiaffi e piatti. Nessuno crede veramente in Dio o ha un’idea decente della divinità ma chiese, sinagoghe e moschee pullulano di immaginari fedeli. Quelli che invece credono in Dio e lo ritengono saggio e illuminato, in aperta contraddizione gli chiedono con le preghiere di modificare il suo operato: che cambi i suoi progetti, che segua il loro desiderio o il loro parere. Non confidando però d’essere ascoltati ricorrono alla mediazione (la chiamano intercessione) dei santi cui dedicano un culto tenace e predominante, ripristinando così l’antico olimpo degli dèi.
Qui chiudo queste frettolose note ricordando che avendo io imparato la loro lingua ho espresso agli Stranopolesi le mie perplessità.
Mi hanno mandato a quel paese (ovviamente il mio).
Ci sto tornando.
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