
Nel silenzio che precede l’incontro con un uomo di fede c’è sempre un momento di sospensione, quasi un respiro trattenuto, come se il tempo stesso si disponesse all’ascolto. È con questo spirito che abbiamo incontrato Monsignor Vincenzo Paglia, una delle voci più autorevoli della Chiesa contemporanea, un pastore il cui sguardo si estende ben oltre i confini ecclesiastici per abbracciare l’umanità intera. La sua vita, segnata fin dall’infanzia da una chiamata profonda e incrollabile, è stata ed è tuttora dedicata a un’instancabile ricerca dell’unità, del dialogo e della riconciliazione.
Nato nel 1945, nel fragile equilibrio di un mondo che si risollevava dalle macerie della Seconda guerra mondiale, Monsignor Paglia ha sentito fin da bambino l’eco di una vocazione che non era solo personale, ma universale: la costruzione di un ponte tra gli uomini, indipendentemente dalle loro fedi, culture e appartenenze. Entrato in seminario giovanissimo, non ha mai smesso di credere nel potere trasformativo del Vangelo e nel suo messaggio di fraternità, e si è opposto con fermezza ad ogni forma di chiusura, discriminazione e disuguaglianza.
Arcivescovo e presidente della Pontificia Accademia per la Vita, Monsignor Paglia è una figura cardine del magistero sociale della Chiesa, un uomo che ha scelto di farsi strumento di pace nelle terre devastate dai conflitti, di difendere la sacralità della vita in tutte le sue fasi e di promuovere una spiritualità che non sia solo contemplazione ma azione concreta nel mondo. La sua voce risuona forte sui grandi temi del nostro tempo: la famiglia come cellula insostituibile della società, la dignità della persona oltre le derive materialistiche della modernità, l’urgenza di un’ecologia integrale che sappia restituire all’uomo il senso del suo essere custode del Creato.
La sua missione non è solo quella di un pastore, ma di un costruttore di visioni, un uomo che nella sua fede trova la forza di affrontare le grandi sfide dell’epoca contemporanea: il disorientamento spirituale, la frammentazione sociale, la crisi delle relazioni umane, il pericolo di un progresso che, se non illuminato dalla luce della coscienza, rischia di ridurre l’essere umano a un ingranaggio anonimo di un meccanismo sempre più veloce e spietato.
In questa intervista, Monsignor Paglia ci ha aperto il cuore e la mente offrendoci una visione limpida e profonda sulla direzione che la Chiesa, e più in generale l’umanità, dovrebbe intraprendere. Un invito alla speranza, alla responsabilità, e soprattutto all’impegno: perché credere non significa solo attendere ma anche costruire, giorno dopo giorno, con le proprie mani, il Regno di Dio sulla terra.
Monsignor Paglia, la sua vita e il suo Ministero sono stati segnati da un impegno ecumenico e interreligioso straordinario. Come può la spiritualità essere un ponte tra le differenti tradizioni religiose, soprattutto in un mondo che tende sempre più alla frammentazione e alla divisione?
Proprio per il motivo che espone. A noi serve oggi una visione, un progetto, un’idea del futuro, per superare la frammentazione dei saperi e le divisioni politiche che portano tutta l’umanità in uno stato di tensione e, purtroppo, di guerra aperta in molte parti del mondo. La visione è chiaramente indicata da Papa Francesco nella sua Enciclica “Fratelli Tutti”. Siamo una unica umanità, non ci sono divisioni di razze, popoli, nazioni, particolarismi. Se capiamo che siamo una sola umanità – per i credenti: figli e figlie di uno stesso Padre – allora i particolarismi diventeranno residui del passato.
In un’epoca dove il progresso tecnologico avanza a ritmi vertiginosi, quali sono, secondo lei, i pericoli più insidiosi che la fede e la spiritualità dovranno affrontare? E come possiamo proteggere la dimensione sacra dell’essere umano in un mondo dominato dalla materialità e dalla velocità?
La vita è il bene primo e più prezioso che abbiamo. Non dobbiamo sprecarla o gettarla via. Ma come possiamo fare? Serve una nuova alleanza tra tutti i saperi, per un vero progresso che è allo stesso tempo scientifico, tecnico, etico, umano e quindi fraterno. Il pericolo più insidioso è la rassegnazione di fronte ai conflitti, di fronte alle stesse difficoltà della vita quotidiana. Non dobbiamo cedere alla stanchezza o alla tentazione di gettare la spugna. La Chiesa indica una strada per tutti noi: umanizziamo il nostro mondo, chiniamoci sulle difficoltà degli altri, interessiamoci del nostro prossimo in un modo concreto, attento, attivo. Ogni persona ha valore: non è uno slogan, è un progetto di vita per tutti.
Lei ha sempre sottolineato l’importanza della povertà come valore evangelico. In un contesto sociale ed economico segnato da crescenti disuguaglianze, come può la Chiesa incarnare oggi il messaggio di Gesù, cercando di risollevare non solo la condizione dei poveri, ma anche l’intero tessuto morale e sociale della nostra società?
La Chiesa porta un messaggio di speranza. Il fine della nostra vita è la vita eterna, la prospettiva ultima di una vita dopo la morte. Che è il vero senso del messaggio di Gesù. Ma la vita buona deve cominciare qui sulla terra, attraverso la messa in pratica della fraternità vera, dell’attenzione verso gli altri. Non è facile. E neppure è scontato. Vediamo che la ricchezza viene giustificata anche teologicamente – mi riferisco a quella corrente, di stampo protestante, chiamata ‘teologia della prosperità’, secondo cui la ricchezza individuale è il segno del favore di Dio. La povertà, al contrario, sarebbe il segno di un peccato commesso. Non è altro che un modo per giustificare l’esistente disparità, chiudendosi nei privilegi e rifiutandosi di operare attivamente per modificare l’ingiustizia presente nel mondo. Il vero messaggio cristiano dice, al contrario: la vita vera è la vita eterna promessa da Gesù dopo la morte. Qui, nell’oggi della vita presente, abbiamo il dovere di migliorare le condizioni di ognuno.
Come ha sottolineato anche nel suo recente intervento al Parlamento europeo, a Bruxelles, la famiglia è sempre stata un perno fondamentale nel suo pensiero. Come possiamo oggi ripensare il concetto di famiglia in una società che sta vivendo rapide trasformazioni culturali, e come la Chiesa può accompagnare le famiglie nel loro cammino, aiutandole a riscoprire la sacralità della vita quotidiana?
La famiglia è il tessuto di base della società. Nella famiglia si impara a vivere, a convivere, si cementano quei legami affettivi e sociali che gettano la base di tutta la vita delle persone. Oggi serve investire sulle famiglie, sulla crescita delle persone. E a mio avviso dobbiamo superare le formule o le definizioni su cosa sia la famiglia. Per la Chiesa è chiaro: madre, padre, figli: questa è famiglia. Ma guardiamo oltre e diciamo pure che dobbiamo andare oltre le formule. Curiamo i legami, le relazioni, i sentimenti. Non fermiamoci alle definizioni e guardiamo all’essenziale: la vita è fatta di relazioni, di sentimenti, di affettività. Serve oggi una grande opera di farsi carico di relazioni buone e positive, con gli altri, con l’ambiente che ci circonda, con tutto il Creato. Penso sempre a “Fratelli Tutti”: l’umanità intera è essa stessa una grande famiglia. È una straordinaria visione del presente e del futuro.
Quasi quotidianamente, ormai, sentiamo di donne maltrattate o uccise nel contesto familiare. I rapporti familiari subiscono l’influenza della carenza di valori della società e della dottrina che in passato la Chiesa indicava o c’è dell’altro? E cosa si può fare per fermare questa tragedia continua?
Dobbiamo – dovremmo – contrastare l’egolatria, il dominio dell’egoismo personale. In questo, sa, siamo tutti rigidamente e rigorosamente monoteisti: la mia volontà, il mio interesse, vengono prima di tutti gli altri. Qui c’è in gioco una volontà di dominio, di affermazione egoistica, che poi diventa facilmente sopraffazione. Diventa facilmente un voler piegare gli altri alla mia volontà. E se l’altro non si piega, ecco arrivare la violenza, fino alla soppressione della vita. La radice del femminicidio è tutta qui, a mio avviso. Come è qui la radice dei troppi suicidi giovanili, che arrivano quando non si riesce a sopportare di dover stare in mezzo agli altri, per costruire rapporti. C’è una grande carenza educativa. Le famiglie non riescono più a puntare sull’essenziale: siamo tutti assorbiti dai nostri smartphone, dalle reti social, costruendo rapporti virtuali e per ciò stesso falsati. Dobbiamo ritornare a parlarci. La famiglia e le relazioni vanno ricollocate al primo posto. In questa opera educativa a largo raggio, le istituzioni hanno un ruolo preciso, nel ridisegnare un progetto di società e per dare un futuro ai giovani.
La sua esperienza in terre segnate dal conflitto, come i Balcani, e il suo impegno a favore della pace, ci insegnano che la fede può essere uno strumento di riconciliazione. Cosa potrebbe fare la Chiesa per affrontare le sfide di pace nei conflitti contemporanei, dove le divisioni sembrano diventare sempre più radicate e difficili da sanare?
La Chiesa è in prima linea. Lo è sempre e da sempre. Ritorno a “Fratelli Tutti” ed al progetto di una umanità riconciliata, che mette da parte gli interessi di parte, appunto, e guarda ad un progetto comune. Possiamo dirlo in un altro modo: abbiamo un solo pianeta in cui vivere e non dobbiamo distruggerlo, perché un altro non ci è dato in sostituzione. Abbiamo una sola umanità in cui vivere e dobbiamo trovare il modo di farlo senza guerre e senza distruzioni. È un grande messaggio di pace e di armonia. Ma non è utopico, è alla nostra portata.
Nel corso degli anni, Lei ha partecipato a numerosi progetti per sensibilizzare la comunità sulle tematiche ecologiche. Come vede la connessione tra la nostra responsabilità verso il creato e la fede cristiana? Può l’ambiente diventare un luogo dove l’uomo riconosce e vive la sua vocazione spirituale?
La Bibbia racconta in modo figurato l’inizio della vita sulla Terra. E offre un messaggio spirituale, sociale, economico, perfino politico, di enorme portata. Il Pianeta serve all’umanità per viverci e per custodirlo, per rendere possibile la vita alle generazioni che verranno dopo di noi. Nello sfruttamento indiscriminato delle risorse, le finalità economiche particolari e miopi di pochi gruppi, hanno disgregato quel progetto biblico di passaggio del testimone da una generazione all’altra. E le dico di più. non è una questione da credenti. Noi credenti sappiamo che la Creazione è opera di Dio per tutti. Ma non è, ripeto, una questione da credenti. È una questione razionale, di logica: custodire e conservare, perché il futuro parte da un oggi sano. Il messaggio della Chiesa sull’ambiente – che Papa Francesco ha sintetizzato nella sua prima Enciclica “Laudato Sì’”, è davvero universale.
Cosa ne pensa della nuova legge regionale sul suicidio medicalmente assistito approvata dal Consiglio regionale della Toscana?
Penso che siamo di fronte a temi delicatissimi. Per aiutare tutti, credenti e non credenti, nel 2024 la Pontificia Accademia per la Vita ha pubblicato un “Piccolo Lessico del fine-vita” (Libreria Editrice Vaticana), per fare chiarezza sui termini essenziali di un dibattito che è spesso confuso e soprattutto molto ideologico. In Italia, poi, penso che servirebbe una legge nazionale, rispettosa delle diverse sensibilità culturali del paese, sulla base di un largo dibattito.
Spesso leggiamo di voci che remerebbero contro il mandato di Papa Francesco, perché troppo aperto a nuovi orizzonti che la Chiesa ha sempre osteggiato. Ritiene siano voci fondate? Ci sono realmente uomini di chiesa che non lo vorrebbero più come loro Papa?
Sicuramente ci sono settori che non vedono bene un pontificato che è a favore di un’umanità riconciliata. Ci sono troppi settori economici e politici che prosperano sui conflitti, anche sulle guerre, sull’uso sfrontato di tecnologie che arricchiscono pochi a scapito dei molti, troppi, che vivono in modo disumano. Quando la Chiesa difende i poveri – non come categoria ideologica – come categoria umana, ricordando che tutti abbiamo diritto ad una vita degna, allora viene perseguita e perseguitata.
Se permette, passerei a qualche domanda personale. Quando e come ha ricevuto la sua Chiamata al servizio del Signore e della Chiesa cattolica?
Fin da bambino ho sentito una spinta interiore. Come lei sa sono nato nel 1945, proprio all’indomani della fine della Guerra Mondiale. Un’altra epoca, in tutti i sensi. Ma da bambino ho sentito una spinta per un mondo in cui tutti fossero in pace e sono entrato in seminario a dieci anni: mi piaceva molto la Messa della Domenica, venivano tutti ed era una festa! In quell’epoca c’erano i seminari ‘minori’ dove si frequentavano le scuole medie e le superiori, prima di entrare nel seminario ‘maggiore’ – il corrispettivo dell’Università. E per anticipare una domanda che è lì che spunta: non ho mai vacillato. Ho avuto certamente momenti di difficoltà, come tutti. Ma la fede non ha mai vacillato e nemmeno la fedeltà alla Chiesa: una, santa, cattolica, apostolica, come recita il Credo.
Quindi Lei non ha mai avuto momenti in cui la fede verso il Signore o la fedeltà alla Chiesa cattolica abbiano tentennato?
In realtà non ho mai avuto tentennamenti nella fede. Non sempre è stato facile essere fedele al Vangelo. E tuttavia ho potuto constatare che la fedeltà al Vangelo e all’amore per i poveri salvano dalla tristezza di spendere la vita solo per se stessi.
Per concludere questa intervista, Le chiedo un consiglio personale per mantenere alta l’asticella delle fede in noi nonostante ogni giorno si vivano, attraverso i media, momenti di orrore come la guerra, la morte di bambini, di donne e di persone innocenti.
La risposta è quella stessa della precedente domanda. Se ti lasci guidare dalla Parola di Dio ogni giorno e non dai tuoi istinti egoistici sarà il Signore che ti guida e ti rende pronto non solo a sdegnarti per quanto accade nel mondo ma ti dà anche la forza e l’intelligenza di contrastarlo o, ma è lo stesso, di costruire una dimensione fraterna anche in mezzo alle onde del male.
Fonte foto: © Pontificia Accademia per la Vita / Foto Siciliani
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