Argentina: i perché del “default”

Cristina-KirchnerArgentina. Il paese di Cristina Kirchner (foto) sarebbe in “default”, e la colpa viene attribuita proprio alla Presidentessa, che a detta dei detrattori, sta “disallineando” il Paese dai dettami neoliberisti Usa, per avvicinarsi troppo alla Russia e ai Brics (acronimo che in economia indica: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) nel tentativo di salvare il patrimonio nazionale.

Analizziamo le cose da una prospettiva diversa:

Attualmente in Argentina ci sono due correnti dominanti in economia: il neoliberismo, che vorrebbe lasciare le questioni fondamentali di produzione, commercio e denaro in un mondo senza stati e confini, in balia delle forze di mercato.

Il diktat del neoliberismo è infatti la “finanziarizzazione”, cioè, l’egemonia del mondo del denaro sull’economia reale.

Poi c’è lo spirito di nazionalizzazione, che vorrebbe unire le forze di mercato con l’ordine pubblico e, quindi, sostiene la possibilità di creare una forma di economia nazionale auto-determinata.

La Kirchner viene vessata perché sta appunto cercando di coniugare giustizia sociale e sovranità nazionale, principi sui quali si dovrebbe fondare ogni sana democrazia.

La Presidentessa ha infatti dichiarato pubblicamente di voler vincolare il concetto di ricchezza nazionale all’effettiva prosperità sociale e popolare della nazione e non alle valutazioni capricciose delle agenzie di “rating” e alle ossessioni di inflazione e pareggio di bilancio.

Facciamo un passo indietro e scopriamo cosa è successo qualche tempo addietro in Argentina.

Il governo Peronista di Buenos Aires era riuscito a risollevare le sorti di una nazione totalmente asservita all’egemonia feudale di Usa e Fed (Federal Reserve System, la Banca centrale usa per intenderci), in cui troppi bambini morivano per denutrizione.

Nel 2001 tuttavia arrivò l’inatteso tsunami, che condusse realmente il paese in rovina: i governanti avevano infatti deciso di vendere il patrimonio della nazione alle banche e agli speculatori internazionali.

Oggi sono gli stessi speculatori a voler piegare definitivamente la nazione, appellandosi cinicamente ad una sentenza del tribunale statunitense emessa lo scorso giugno (che ha dunque valenza giuridica a livello planetario), la quale obbliga Buenos Aires a risarcire lo stesso debito che il governo peronista aveva rinegoziato, perché ritenuto illegittimo.

Si tratta di una sentenza in favore dei fondi (hedge funds) creditori dell’Argentina.

Essi praticamente impongono al Paese di pagare il prezzo pieno sui bond sovrani (cioè i titoli argentini acquistati a bassissimo prezzo nel 2001) ancora in mano agli speculatori che non hanno accettato gli accordi sulla ristrutturazione debitoria.

Agli hedge funds vanno resi 1,33 miliardi di dollari, ma se si volesse essere cavillosi e appellarsi ad una clausola firmata dall’Argentina nel 2006, il debito potrebbe aumentare.  

A questo punto appare evidente che, se l’insolvenza di cui si fa paladina la Presidentessa deriva dal debito indotto in maniera illegittima, la presa di posizione della Kirchner non è così sbagliata.

Gli Usa tuttavia non mollano la presa e hanno già cominciato a minacciare un embargo economico.

Al di la di queste considerazioni, resta il fatto che effettivamente l’Argentina non naviga in buone acque, dunque a rigor di logica, qualche falla nel sistema deve esserci.

Forse i tempi non sono abbastanza maturi per realizzare il suo sogno di “controllo” statale della banca centrale e dell’emissione monetaria?

Probabilmente sì!

Fatto sta che il tempo è tiranno e si lo spauracchio del secondo fallimento dopo 13 anni si sta oramai concretizzando.

L’unico appiglio potrebbe concretizzarsi, grazie all’intervento del mediatore nominato dal tribunale, Daniel Pollack.  

Adesso sta alle due forze, ovvero neoliberisti e nazionalisti, il compito di risollevare le sorti del Paese.

Il punto è che le due forze tirano ognuna dal proprio lato e propongono soluzioni al rischio default diametralmente opposte.

I neoliberisti propongono infatti di accettare il provvedimento del giudice per evitare il collasso dell’economia argentina, generando un flusso di dollari e investimenti che risolverebbero i problemi del paese.

Mentre gli oppositori continuano a sostenere che i problemi principali sono l’inflazione, la fuga di capitali, la recessione, la crescita della produttività, resistenza fiscale e che l’Argentina debba mantenere una posizione negoziale basata sulla solvibilità dello Stato e del sistema finanziario.

In sintesi, il Paese dovrebbe continuare a prolungare il conflitto, che a detta loro, non causerebbe alcun caos nel paese.

Di una cosa siamo assolutamente certi: l’approccio neoliberista ha fallito.

Tuttavia, esso continua ad esercitare un’influenza sulle vecchie economie industriali del Nord Atlantico e su molti pensatori argentini.

Insomma la strada da percorrere non sarà assolutamente facile.

di Simona Mazza

foto: t-mag.it

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