A che servono i beni di questo mondo, ma soprattutto a chi appartengono?

Con questa domanda vogliamo entrare nel cuore di questa XXV domenica del tempo ordinario per riflettere sulla cupidigia dell’uomo. La vita si amministra autenticamente se è vissuta con l’esercizio delle virtù, lontani dai vizi come la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’ira, la gola, l’invidia, l’accidia, spesso cattivi consiglieri per il timone delle nostre barche. Tutta la creazione con i suoi beni appartiene al Signore perché Egli ne è il principale artefice; noi, posti ad esserne i fedeli tutori e custodi, non ne siamo proprietari, né padroni ma amministratori, simili a colui che Gesù menziona nel Vangelo di questa domenica. Allo stato attuale l’operato di tanti amministratori non difende il supremo dono della creazione; infatti, nel cuore di molti purtroppo, regna l’avidità accompagnata da una fame che non conosce alcuna sazietà. Perciò, tutti i danni che volutamente vengono inferti al quadro della natura e alla sua preziosa cornice si ripercuotono inesorabilmente anche sull’uomo, non considerando tra l’altro, il principio fondamentale che tutti i beni di questo mondo devono essere amministrati per il bene comune. Dio ci affida una grande responsabilità e non possiamo declinarla consegnando le nostre storie – come spesso accade – alla droga, all’alcool, al divertimento esagerato, al lusso sfrenato, al vizio. Vigiliamo attentamente! le conseguenze nefaste di una determinata decisione, di un qualsiasi peccato personale o sociale coinvolgono tutti per il fatto che esse oltrepassano ogni frontiera, ogni ostacolo, diventando – ahime! – danni per l’umanità intera. Che fare? Basterebbe essere un po’ più solidali e sforzarci di essere una cosa sola sia nel bene che nel male. Formare le coscienze in questi termini aiuterebbe a mettere un po’ di ordine nel caos della nostra vita. Nella prima lettura il profeta Amos lancia chiaramente un attacco contro coloro che opprimono la povera gente e le classi sociali meno abbienti con la truffa, la disonestà, la corruzione, l’usura; per i fautori di iniquità che schiacciano l’innocente non c’è scampo; invano costoro potranno affidarsi ai loro idoli; a causa della loro insaziabile cupidigia gli Israeliti ormai, sono votati alla fine e al giudizio implacabile del Signore. La seconda lettura invece, – è l’Apostolo Paolo che scrive al suo stretto collaboratore Timoteo – ci offre una serie di istruzioni inerenti alla vita cristiana. In essa, prima di tutto, si è esortati alla preghiera corale da celebrare con le mani levate e nella concordia. È uno spunto questo, per dare una norma circa la posizione della donna all’interno delle assemblee cristiane. È chiara in questo contesto, la componente storica, legata anche alla cultura del tempo che privilegiava il maschio. Tuttavia l’argomentazione per sostenere la sottomissione della donna è quella, già nota, dell’interpretazione tradizionale del racconto della Genesi, ove la donna è creata dopo l’uomo e appare come tentatrice. È dal Vangelo di oggi che ricaviamo una profonda riflessione circa l’uso corretto dei beni materiali. Gesù, il Maestro di ieri e di sempre, in viaggio verso Gerusalemme, continua ad ammaestrare le folle tramite parabole. Egli impartisce una lezione contro la cupidigia, ma soprattutto contro il cattivo uso del denaro che ancora oggi attanaglia e rende prigionieri tantissimi fratelli e sorelle. Qual è dunque, il messaggio del Vangelo di questa domenica? L’amore spasmodico al denaro schiavizza tantissimi; esso inoltre, può depredarci di tutto quanto veramente ha valore rendendoci simili a “pagliacci” in mano a cattivi burattinai. Impariamo a considerare invece, la libertà di Gesù, Lui che da ricco che era si fece povero ed umile per arricchire noi della sua povertà. Esercitare la libertà dei figli di Dio significa anche scegliere: “Per mia scelta e per far posto all’amore non mi inchino a nessun bene di questo mondo perché, come Gesù, anch’io desidero indossare un grembiule per essere servo del Padre e di ogni uomo” (don T. Bello). Questa è la vera libertà. Una scelta che ci aiuta ad uscire da ogni compromesso. Infatti, nessuno pensi di poter servire contemporaneamente Dio e la ricchezza, perché chi serve la ricchezza avrà il cuore conquistato dalla ricchezza; chi serve le cose di questo mondo avrà il cuore conquistato dalle cose di questo mondo; chi serve invece il Vangelo avrà il cuore conquistato dal Vangelo; in ultimo, chi serve Dio avrà il cuore conquistato da Dio. Uno dei grandi mali dell’epoca moderna – così scriveva Paolo VI – è l’incoerenza della vita di fede. L’infedeltà alla grazia, ai sacramenti, agli impegni solenni sanciti dinanzi a Dio e alla Chiesa, sono la causa del malessere odierno. L’esigenza paolina che “ciascuno sia trovato fedele” oggi non ha più posto nella scala dei nostri valori. Incarnandola e vivendola invece, assumerebbe i connotati di un amore condiviso e corrisposto: come Dio è fedele verso di noi, cosi anche noi dobbiamo essere fedeli verso di Lui. Infatti, la fede in Dio si manifesta in due modi: con la fiducia e con la fedeltà. Allora sì, anche noi potremo cantare prima con la vita e poi con la voce: “Mio Dio, tu sei la mia speranza, tu la vera fiducia, tu il mio consolatore, il fedelissimo in tutto”. (Libro dell’Imitazione di Cristo

Fra Frisisna

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