Haiti, l’emergenza continua

Intervista esclusiva alla dottoressa Valeria Terzi anestesista-rianimatrice dell’Ospedale Niguarda di Milano

Con un colpo di fortuna, riesco ad ottenere un incontro telematico con una anestesista-rianimatrice dell’Ospedale Niguarda di Milano, la dottoressa Valeria Terzi, durante la sua esperienza lavorativa presso l’ospedale Saint Damien a Port Au Prince, Haiti, durante il mese di giugno 2010. La struttura, a completa vocazione pediatrica, è gestita dall’associazione N.P.H. (Nuestros Pequenos Hermanos) in collaborazione con la Fondazione Francesca Rava che rappresenta la “componente italiana” di N.P.H..  

Buon giorno Dottoressa come Va?

Stancamente bene. Comincio subito con dirti che è massacrante ma gratificante, anzi è bellissimo poter essere qui.. 

Immagino che sia difficile?

No, Voi non potete immaginare. Solo gli occhi di questi bambini sanno spiegare l’entità del bisogno che qui esiste da prima del terremoto e che perdura a diversi mesi dal terremoto.  

Dottoressa, ci racconti cosa vedono i suoi di occhi?

Non so da dove cominciare a raccontare perche’, anche se sono qua solo da pochi giorni, ho gia’ visto tante cose, sentito tante voci, incontrato tanti sguradi e mi sono fatta un’idea, credo verosimile, di questa realtà complessa..  

Ci aiuti a capire allora

Fuori dall’ospedale sembra che il tempo si sia fermato al giorno del terremoto: le strade sono ancora difficilmente agibili, in alcuni tratti persino sventrate, la maggior parte delle abitazioni in muratura sono pericolanti o distrutte; sul ciglio dellle strade moltissimi individui vivono nel senso che mangiano, dormono e barattano il poco che hanno tutto il giorno e tutti i giorni; ovunque ci sono campi tendati, soprattutto il pendio della collina che guarda la citta’ e’ pieno di macchie bianche che sono tende; l’unico quartiere della citta’ non distrutto e’ il Cirque du Soleil, cioe’ un accampamento permanente di stracci che la gente usa per vivere da sempre, anche da prima del terremoto; e poi a molti angoli della città ci sono camionette delle Nazioni Unite con militari che imbracciano il mitra.  

Ma Voi potete uscire dall’ospedale?

Qualcuno di noi sanitari riesce ad uscire con il personale N.P.H. per prestare servizi anche fuori dall’ospedale come visite mediche negli slum insieme a distribuzione di riso e acqua nei quartieri più poveri e violenti. Durante queste attività extra ospedaliere si acquisisce meglio la conoscenza del paese e la bellezza delle opere N.P.H. Da soli invece, nessuno di noi abbandona l’ospedale per evidenti ragioni di sicurezza.  

E ora veniamo all’ ospedale dove sta facendo volontariato

E’ davvero una costruzione bella e funzionale. Non lo si puo’ nemmeno paragonare all’ospedale di Sogakope.  

Sogakope?

Un piccolo paese del Ghana dove esiste un ospedale missionario in cui mi reco a prestare la mia opera volontaria di anestesista 2 settimane ogni anno. Ma questa è un’altra storia…  

Quindi qui è meglio?

Decisamenre. Unico nell’isola ed il più grande nei Caraibi, è una struttura d’eccellenza realizzato su un progetto italiano e grazie al determinnate contributo della Fondazione Francesca Rava. Assiste 25000 bambini ogni anno ed è dotato di 2 sale operatorie, radiologia, laboratorio analisi, farmacia, cancer centre, terapia intensiva, degenza con circa 150 ricoveri (ma è progettato per ospitare fino a 300 piccoli pazienti).  La Fondazione ha attivato numerosi gemellaggi con ospedali italiani per la formazione in Haiti ed in Italia del personale haitiano perchè raggiunga una preparazione da primo mondo.  

Ci dia ancora dei numeri che descrivano l’attività del Saint Damien

Ci sono ricoverati 20 neonati, in pediatria per le malattie mediche tipo malaria e diarrea ed in chirurgia per l’osservazione postoperatoria ci sono ricoverati piu’ di 100 bambini, ogni giorno in prontosoccorso vengono visti una trentina di bimbi, in rianimazione ce ne sono un’altra decina. Ogni mattina gli ambulatori di neurologia (si occupa di bimbi epilettici), di ortopedia, di cure odontoiatriche vedono circa 30 bimbi l’uno…………ogni mattina.   

Ma economicamente come funziona?

Le cure sono perlopiù gratituite. I fondi con cui l’ospedale vive, cioè presta i servizi e paga i dipendenti, sono soprattutto donazioni.  

Dal 2006, anno della sua inaugurazione, il Saint Damien si è imposto come esempio di ospedale pediatrico efficiente e dedicato. Cosa è successo al Saint Damien durante ed immediatamente dopo il terremoto?

Per prima cosa, l’ospedale Saint Damien, realizzato secondo criteri antisismici, è rimasto in piedi. E questo è già molto considerata la violenza dell’evento sismico. E’ sempre stato operativo e per molti giorni è stato anche l’unico (inagibile per esempio l’ospedale statale). Nelle prime due settimane dal sisma, sale operatorie, prontosoccorso, radiologia sono sempre state in funzione giorno e notte per soccorrere migliaia di bambini e adulti. Il Saint Damien è diventato il campo base della Protezione Civile Italiana e la Fondazione ha inviato diversi medici dall’Italia. E ancora continua ad inviarne.  

E dopo il terremoto?

Dopo il terremoto, è stato necessario aprire il reparto di ginecologia e ostetricia. Prima del disastro le donne partorivano ovviamente nel loro villaggio; durante il terremoto, molte donne gravide sono rimaste sotto le macerie e hanno riportato fratture al bacino che ora, giunte al nono mese, non permettono piu’ un parto vaginale. Quindi la necessita’ di ricoverare le donne in ospedale per eseguire il taglio cesareo. Il reparto ha poi richiamato l’attenzione di diversi ginecologi che hanno convogliato in ospedale e continuano a convogliare, le pazienti affette da eclampsia per poter dare loro il giusto monitoraggio ad una gravidanza difficile per definizione. In tutto questo lavorare, la figura dell’anestesista ha un ruolo indispensabile per assicurare l’anestesia ai vari cesarei e le prime cure ai neonati sofferenti per asfissia.  

Ci spieghi meglio chi gestisce l’ospedale?

L’ospedale come vi ho detto è una creatura N.P.H. Tale associazione nasce nel 1954 quando in Messico un giovane viene arrestato per aver rubato le offerte in una piccola chiesa. Il giovane parroco, Padre William Wasson, originario degli Stati Uniti, fù contrario a punire il piccolo ladro di cui, invece, ne richiese la custodia. Una settimana dopo, il giudice gli affidò altri otto bambini senza tetto. Entro la fine dell’anno, il numero di bambini affidati alla parrocchia arrivò a trentadue. Nacque così Nuestros Pequenos Hermanos (I Nostri Piccoli Fratelli). N.P.H. ha poi fondato altri orfanotrofi, scuole e ospedali in El Salvador, Honduras, Nicaragua, Guatemale e Haiti. La Fondazione francesca Rava è la sede italiana di N.P.H. e collabora soprattutto, ma non solo, in Haiti.  

Ci parli del personale

Il personale N.P.H. è serio e motivato. Tra tutte le persone che ho conosciuto scelgo di parlare di Padre Richard Frechette che è il responsabile ultimo dell’ospedale e di tutte le attività di N.P.H. in Haiti come scuole ed orfanotrofi. Padre Rick, tutti lo chiamiamo così, è un sacerdote e medico-chirurgo americano che da oltre 22 anni è in prima linea nei quartieri più degradati della capitale. All’inizio della sua missione, si occupava di bambini moribondi in un capannone poverissimo, senza fondi e senza la parvenza di ospedale. Le uniche cure che riusciva a dare erano amore e degna sepoltura ai piccoli. Ma da allora, è riuscito a fare cose miracolose, alcune gia avviate altre in costruzione: l’ospedale Saint Damien, l’orfanotrofio di Kenscoff, le imprese lavolative di FrancisVille, le scuole di strada, la struttura riabilitativa di Città degli Angeli. Tutti i suoi collaboratori sono ex ragazzi di starda che sono stati accolti nei suoi orfanotrofi, cresciuti, educati all’amore e alla responsabilità.  

Sembra affascinata da Padre Rick.

Impossibile non esserlo. E’ una figura autorevole ma gentile, sempre sorridente e disponibile, caparbio ma delicato. E’ capace di correre per trenta km pur di raggiungere il prima possibile l’orfanotrofio in caso uno dei bimbi si ammali seriamente. E’ in grado di trattare con i criminal leader delle bande pur di far arrivare a più famiglie possibili il cibo e l’acqua. E’ davvero un messaggero. Guardandolo ti viene da pensare che forse l’amore può ancora vincere, persino ad Haiti.  

Insomma un Padre speciale?

Noi lo definiamo “fuori dagli schemi”. E’ la persona più speciale che io abbia mai conosciuto. Penso che stia camminando già da molto tempo sulla strada della santità. In queste ultime ore, piuttosto mi è toccato vederlo addolorato a causa della morte di uno dei suoi ragazzi. Per colpa di un rito vudu, un giovane cresciuto grazie alla sua accoglienza, ha becuto del veleno ed è morto poco dopo. Padre Rick ha trattato con i colpevoli, ha preteso il corpo del ragazzo, l’ha portato in ospedale per la veglia e poi, causa il caldo eccessivo, l’ha caricato in macchina e l’ha portato all’orfanotrofio dove il giovane è cresciuto. Alla fine, come ultimo gesto di saluto e di amore, ha celebrato il funerale e ha dato degna sepoltura al “suo ragazzo”.  

Lei è una giovane dottoressa laureta e specializzata con il massimo dei voti, assunta in un grosso ospedale di Milano e stimata dai colleghi. Ma qui di preciso cosa fa?

Il mio compito qui e’ duplice: essere disponibile per tutte le urgenze (sia cesarei, sia bimbi da curare acutamente) e tenere le seduta operatorie da lunedì a giovedì insieme all’equipe haitiana. Ho appena finito di fare questo. Ieri e oggi abbiamo fatto degli interventi molto belli. Il chirurgo e’ decisamente competente e sicuro. Riesce a spaziare su diverse patologie: occlusioni intestinali con necrosi o perforazione, ernia inguinale, criptorchidismo, malformazioni cardiache. Finora il piu’ piccolo paziente che ho addormentato qui ha 4 mesi e pesa 5 Kg. Il piu’ grande ha 14 anni e pesa 30 Kg.  

Immagino che le urgenze siano varie e numerose

In pochissimi giorni ho già dovuto praticare l’anestesia spinale a diverse donne per eseguire cesareo urgenze causa sofferenza fetale. E sono stata chiamata dai colleghi della Terapia Intensiva per intubare e gestire una neonata colpita da meningite fulminate.  

Sicuramente ha la pellaccia, come si dice in gergo, io non riuscirei mai, ma per affrontare tutto questo cosa altro serve?

Tecnicamente la scuola di Milano mi ha preparato alle situazioni più complicate. Inoltre la mia passione per i lavori difficili (missione in Africa, soccorso extraospedaliero, esperienza a L’Aquila) mi aiuta a restare tranquilla. Tuttavia mi servo sempre della mia fede in Dio che in questi casi mi aiuta a ricordare che io sono solo uno strumento nelle sue mani. Quindi nelle piccole vittorie, io non ho merito. Ma nei grandi dolori, io non provo solitudine. Mi sento sempre accompagnata e guidata.  

Situazioni difficili?

Sicuramente la neonata di 5 giorni in shock settico da meningite fulminante: era completamente scoagulata con i polmoni e le vie aeree piene di sangue. I pediatri haitiani mi hanno chiesto di intubarla per darle una possibilità. Io sapevo che la piccola non poteva sopravvivere, però per non farla morire soffocata nel suo sangue e per aiutare i colleghi in difficoltà ho intubato la piccolina e l’ho curata. Ho però anche spiegato ai medici haitiani e alla mamma che i nostri sforzi sarebbere stati vani. Sono rimasta li’ fino alla fine perchè il mio gruppo di Niguarda mi ha insegnato che la cura ed il lutto sono percorsi da fare in gruppo. Ho diretto i lavori fino a quando la piccola e’ morta succhiando il mio dito. I colleghi haitiani mi hanno ringraziato infinitamente, i colleghi americani non facevano che ripetere “well done”. Io mi sono limitata ad abbracciare la madre che non aveva più lacrime da versare. Ad Haiti le madri sono terribilmente abituate a veder morire una o più delle loro creature.  

Cosa ha pensato?

Brutta domanda ma provo a rispondere. Vuole la verità?  

Sì, grazie.

La verita’ e’ che qui come in Africa e’ piu’ facile morire che vivere e se un bimbo si ammala e’ quasi sempre spacciato. Io faccio il meglio che posso, soprattutto per far vedere ai colleghi che la vita va difesa sempre e fino in fondo, anche se con poveri mezzi. La malattia peggiore del terzo mondo sia il fatalismo. Personalmente ciò che faccio fatica a digerire è questa domanda: la vita di ognuno di noi può essere così pesantemente influenzata dal posto in cui si nasce? Nascere a Milano è una fortuna. Nascere ad Haiti è una condanna. Basta un colpo di fortuna per decidere un’intera esistenza? Evidentemente c’è altro. Ma a volte, confesso che è difficile capire il disegno delle nostre vite. Fortunatamente in urgenza non penso a tutto ciò. Ma quando mi sdraio per riposarmi, qualunque ora sia, gli interrogativi avanzano. Ma poi avanza anche la stanchezza fisica e riesco regolarmente a prendere sonno.  

E le cose quotidine che x noi sono semplicissime?

Haiti è il paese più povero al mondo insieme al Niger. Otto milioni di abitanti di cui il 60% soffre di malnutrizione. un bambino su tre muore di malattie curabili, uno su due non va a scuola. L’aspettativa media di vita è di 55 anni. Il 70% della popolazione non ha lavoro e l’80% vive con meno di un dollaro al giorno. Non ci sono infrastrutture, nelle case mancano reti fognarie, acqua potabile e corrente elettrica.  

Dai dai concludamo con un sorriso: ci parli della vita in comune

Se volete ridere, vi racconto della nostra vita in comune. Dunque, i cessi non si possono guardare e infatti io la faccio in sala operatoria. La cucina e’ infestata dai topi. Le stoviglie sono a disposizione di tutti e il sapone per i piatti non c’e’ mai…..come la carta igienica del resto. Le tende dopo le 7 diventano dei forni crematori. A cena mangiamo gli avanzi del pranzo. Dimenticavo, l’acqua delle docce e’ gelata. Io pero’ mi diverto un casino, perche’ tanto e’ solo per 14 giorni. Altri volontari invece stanno uscendo matti.

Lavorate sempre anche nei week-end?

Sì certo. Il weekend, ammetto, è il momento in cui i miei affetti mi mancano maggiormente. Spesso mi chiedo cosa abbiano organizzato per il sabato-domenica. Allora, il modo migliore per sentire un po’ meno la nostalgia di casa è ancora una volta lavorare e lavorare bene. Sabato due cesarei ed un’emorragia post partuum. Domenica rianimazione neonatale: purtroppo inutile.   

I nostri militari sono presenti, se sì che rapporto avete tra connazionali?

Di giorno si lavora, mentre di sera si chiacchera, spesso nel campo confinante dei carabinieri e aereonautica. E cosi’ mi sono ricreduta un po’ su alcune cose. Anche se calcisticamente parlando stiamo facendo un po’ cagare, qui ho potuto risollevare la stima nel mio paese (ho detto paese non governo!!!!!!!!!!!). Per farlo e’ stato sufficiente conoscere i carabinieri del campo vicino. Ci hanno spiegato il loro ruolo e le loro motivazioni personali. Ci hanno spiegato anche la rabbia della gente e la fagilita’ dell’ONU, oltre all’ingerenza americana.

I carabinieri italiani sono le uniche forze dell’ordine apprezzate anzi adorate dalla gente locale, tanto che i nostri uomini sono gli unici che girano con la camionette bianche dell’onu ma sulle quali hanno aggiunto la propria bandiera. Il tricolore e’ davvero l’unica bandiera ben accetttata. Questo perche’ i nostri militari cercano di non forzare mai la mano, cercano di capire che se non hai il riso da mangiare non puoi nemmeno essere uno stinco di santo.

E quindi, anche nelle operazioni di sicurezza non usano mai la forza gratuitamente.  

Ha qualche foto?

Si ma quelle le tengo solo x me…  

Grazie dottoressa Terzi.

No grazie a Lei.  

 

Fulvio Fule  

Donazioni: www.nphitalia.org/

Foto: www.vostrisoldi.it

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