De gustibus non est disputandum

burro

La frase latina «De gustibus non est disputandum», che sta ad indicare che dei gusti non si può discutere,  vale a troncare sul nascere qualsiasi discussione sulle preferenze personali, specie a tavola.

È oramai accertato che questa espressione non ha origini classiche ed è invece di epoca medievale.

Olio d’oliva o burro?

Nonostante le autorevoli smentite (come quella del Vocabolario Treccani) continua tuttavia a circolare la sua attribuzione a Caio Giulio Cesare che l’avrebbe pronunciata nel corso di una cena a Milano quando il padrone di casa Valerio Leone, mettendo in grande imbarazzo gli ospiti venuti da Roma, aveva fatto servire degli asparagi conditi non con olio d’oliva come si usava a Roma, ma con burro che i romani non conoscevano come alimento, ma come cosmetico visto che lo chiamavano unguentum.

La falsa attribuzione, tuttavia, racconta molte più cose della verità storica e permette di comprendere come mai il burro, come chiamiamo in italiano il butirro medievale, abbia fatto tanta fatica ad imporsi nella cucina centro-meridionale in cui è largamente soppiantato dall’olio d’oliva e dallo stesso strutto.

Origini del burro

Per quanto le sue origini fossero antichissime, tanto che se ne attribuisce l’invenzione ai sumeri, il burro è stato infatti considerato, almeno sino al medioevo, alimento barbaro anche se le vere ragioni sono meramente climatiche visto che il burro mal si conserva nei climi caldi dove facilmente irrancidisce.

Altro elemento decisivo era rappresentato dalle razze bovine autoctone: le  principali diffuse nel Centro-Sud sono infatti la Chianina, la Romagnola, la Maremmana e la Podolica da cui si ricava il latte, sempre in quantità modesta, destinato ai famosi caciocavalli.

Razze resistenti al clima e alla fatica, adatte al lavoro nei campi, capaci di adattarsi ai cosiddetti terreni marginali senza quindi la necessità di coltivazione di foraggio, ma scarsamente lattifere.

Lo stesso Foro Boario era sostanzialmente dedicato al commercio dei buoi indispensabili sia come animali da tiro per i carri che percorrevano le vie consolari, sia come  aiuto per i lavori agricoli più pesanti.

La diffusione

Per la  diffusione del burro anche sulle tavole della borghesia centro-meridionale, in gran massa approdata a Roma con l’unità d’Italia,  occorrerà attendere i primi anni del 1900 con  la diffusione della  refrigerazione, almeno nella forma delle fabbriche del ghiaccio e, dal punto di vista strettamente culinario, l’opera divulgativa di  Pellegrino Artusi con  il suo «La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene» il quale menziona gli gnocchi alla romana, fatti con semolino e burro, che si contrappongono a quelli di patate della tradizione meridionale, oggi di gran lunga tornati prevalenti.

La produzione

La produzione anche nella terra dei Cesari di un burro fatto a regola d’arte è quindi relativamente recente ed a sua volta oggetto di una storia, vera anche se dai connotati leggendari: quella del burro di San Filippo, riconosciuto oggi ufficialmente come P.A.T. (Prodotto Agroalimentare Tradizionale).

San Filippo è una piccola frazione del Comune di Contigliano, in provincia di Rieti, e la storia del suo burro è legata alle vicende di un giovane contadino del posto, Tarquinio Belloni, che nel 1866, a vent’anni,  parte volontario con l’esercito dei Savoia. 

Giunto in Piemonte, tuttavia, il suo furore patriottico svanisce rapidamente e così il giovane  diserta,  valica le Alpi a piedi ed approda in Svizzera dove, pur non conoscendo la lingua, si rifà una vita lavorando nelle aziende agricole ed imparando la mungitura e la lavorazione del latte vaccino particolarmente diffuse nelle valli svizzere.

Dopo circa dieci anni, però, la nostalgia di casa prende il sopravvento ed intorno al 1880 Tarquinio pianta nuovamente tutto e torna in Sabina, si  sposa, inzia ad allevare vacche da latte come ha imparato in Svizzera ed a produrre burro di qualità talmente elevata da essere apprezzato prima dalla borghesia reatina, poi, quando altri allevatori locali lo seguiranno, nella stessa Capitale.

La tradizione

Siamo arrivati agli anni ’30: la tradizione della burrificazione di San Filippo è stata raccolta dai coniugi Natalizi, che hanno spostato la loro azienda ai Piani di San Filippo, acquistando  la proprietà detta «Campogelato».

Quasi in contemporanea Ada Boni ha pubblicato il suo ponderoso Talismano della felicità, apprezzato regalo di nozze della piccola borghesia, ed ha dato una vigorosa spallata alle tradizioni culinarie regionali.

Le salse a base di burro e le frolle diventano ormai patrimonio della cucina italiana ed il burro,  non più cibo dei barbari, è entrato nella cucina casalinga di tutta la Penisola.

Burro  e alici sono ormai un binomio proverbiale che indica l’intesa perfetta.

Dal de gustibus di Cesare il burro ne ha fatta di strada.

Foto di congerdesign da Pixabay

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