L’Albero di Natale: storia di un simbolo

Quella relativa alla tradizione legata all’Albero di Natale è la prima tappa di un breve viaggio alla scoperta delle origini dei più amati simboli del Natale.

Si narra che, in una notte di Natale, mentre stava attraversando un bosco, Martin Lutero vide gli alberi illuminati dalle stelle ed immaginò che, anche nelle case dei fedeli, la celebrazione della Santa Natività potesse essere allietata da uno spettacolo simile. Basandosi su questa leggenda, che non ha appigli nel vero, il pittore ottocentesco Otto Schwerdgeburth, in uno dei suoi dipinti, decise di porre un piccolo albero illuminato da candele sulla tavola natalizia della famiglia Lutero.

In verità, l’albero di Natale decorato, così come lo conosciamo oggi, è ben più tardo. Risalenti nel tempo, invece, sono le motivazioni che hanno determinato la scelta dell’albero, e non di altro simbolo, per rappresentare il Natale; motivazioni che precedono di gran lunga il luteranesimo e che affondano le proprie radici nelle tante tradizioni pagane, “cristianizzate” nel corso della lunga opera di evangelizzazione.

La cosmogonia dei popoli più antichi è disseminata di alberi sacri. Pensiamo al Sicomoro degli antichi Egizi, al sacro albero di Ceiba dei Maya, all’Irminsul sassone, all’albero dell’Eden biblico, all’Yggdrasil della mitologia scandinava, al cui ramo Odino restò appeso per nove giorni e nove notti, sacrificando un occhio pur di apprendere i segreti della saggezza e della divinazione runica. Il culto silvestre dei Celti, poi, era estremamente sentito: gli alberi rappresentavano il rinnovamento costante della vita nel suo ciclo naturale di morte e rinascita, rappresentavano la forza della Natura che si riverberava in chiunque li venerasse. Ed erano in molti a venerarli. In particolare i Druidi, sacerdoti e saggi che usavano un sistema segreto di comunicazione, l’Ogham, ricavato dall’estrema stilizzazione degli alberi, ed i guerrieri, i quali avevano spesso nomi legati al mondo boschivo, come Figli della Quercia, o Uomini del Sorbo.

Lo stesso Gesù Cristo, attraverso la croce del suo supplizio, assume la sembianza di un albero, come nella magnifica tavola trecentesca che Pacino di Bonaguida dipinse per il convento di Santa Croce a Firenze: la croce è inserita nell’albero, Gesù è parte di esso, le sue braccia si stendono sui rami, il suo corpo sul tronco. Come l’albero, Egli è portatore di vita. E non è il solo. L’albero come mediatore di divinità viene accostato anche alla Vergine Maria, tanto che molti sono i luoghi di culto mariani che portano il nome di un albero: Maria delle Tre Querce, Maria la Verde, Maria dei Tigli e così via.

Il perché tante diverse religioni, a grande distanza di tempo e luogo, abbiano visto nell’albero un elemento sacro è presto detto. Innanzi tutto, l’albero evoca un’immagine che in sé contiene il sacro ed il profano, avendo radici nella terra ed essendo proiettato in altezza verso il cielo, cosa che lo rende simbolo perfetto del collegamento tra uomo e Dio; inoltre, producendo frutti e foglie per il sostentamento e la cura del corpo, nonché legname per le costruzioni, o per scaldarsi e cuocere il cibo, l’albero racchiude tutte gli aspetti sacrali voluti dalla più antica spiritualità naturale, che rendeva sacra ogni fonte di sostentamento e ricchezza. E’ questa la ragione per cui le prime decorazioni erano mele, melograni ed arance, che avevano intento propiziatorio per i futuri raccolti.

Inoltre l’albero sempreverde sta a simboleggiare la persistenza della vita anche nei mesi invernali e questo, soprattutto per i popoli nordeuropei, è un fattore essenziale, avendo costoro meno luce e dovendo sopportare temperature basse, nemiche di molte coltivazioni. O Tannenbaum, o Tannenbaum / Wie grün sind deine Blätter. / Du grünst nicht nur zur Sommerzeit / Nein auch im Winter wenn es schneit …” recita una splendida canzone natalizia tedesca: “Oh albero di Natale / oh albero di Natale / Come sono verdi le tue foglie. / Tu sei verde non solo d’estate / No, anche in inverno quando nevica …”.

L’albero sempreverde, riccamente addobbato con ornamenti naturali come frutta e bacche, dunque, fungeva, in origine, da catalizzatore della fertilità della terra. Al culto cristiano, invece, si lega più che nelle decorazioni, nel ciclo di vita, poiché, dopo aver brillato ed illuminato la notte, che incombeva sul mondo prima della nascita di Cristo, viene fatto a pezzi e bruciato, ricordando il sacrificio del Messia.

Una delle prime notizie relative all’usanza di decorare abeti per il Natale risale al 1605 la ritroviamo in Germania, nei Memorabilia Argentorati, che è l’antico nome di Strasburgo, dove è scritto che gli abeti vengono adornati con carta colorata, mele, zucchero ed oggetti dorati. Tale si è conservata per i duecento anni successivi. Dell’albero di Natale, i poeti romantici tedeschi, soprattutto Goethe, Schiller e Hoffman, esaltarono sia l’aspetto religioso, rappresentando, esso, il fulcro della vita che coincide con la nascita di Cristo, sia quello folkloristico, rallegrando le case con luci e colori. La Lotte de I dolori del giovane Werther prepara l’albero e vi appende i regali per i fratellini e nelle poesie che Goethe scrive per Carlo Augusto ce n’è una intitolata Weinachtsabend (Notte di Natale), in cui vengono descritti alberi che scintillano di luci nella notte.

A partire dall’Ottocento, in Germania ed in Svizzera si inizia a sostituire la frutta e le decorazioni naturali con piccoli coloratissimi oggetti di vetro soffiato o legno intagliato. L’arte si raffina nell’Inghilterra vittoriana, dove le decorazioni natalizie non sono più solo riproduzioni delle frutta e degli altri simboli silvestri, ma si disperdono nel più vasto effimero: gnomi, fate, bambole, fiocchi, strumenti musicali, piccoli pendant porta-essenze, dolci, candele e frutta secca.

Poi, ovviamente, arriva Charles Dickens. E’ il 1850 e la festa del Natale raggiunge il suo apice rappresentativo: alberi decorati, neve, buoni sentimenti, lieto fine. A Christmas Carol è un condensato dell’immaginario natalizio che inevitabilmente fa il giro del mondo, arrivando anche in Italia, sebbene qui vi siano ancora molte resistenze ad accettare un simbolo laico della Santa Festività: le tradizioni silvestri, i riti boschivi del nord Europa non sono ben visti. L’albero di Natale viene percepito come intruso in quel mondo di cristianità francescana che continua a preferire il presepe.

Il conflitto è solo apparente, però, poiché, nella sua trasformazione ad emblema cristiano, anche l’albero reca memoria della Natività: la stella tradizionalmente apposta in cima all’albero simboleggia la cometa e le lucine sono le stelle sotto le quali, in una fredda notte a Betlemme, il Salvatore venne al mondo. Frutta, dolci, e piccoli oggetti inoltre, sono doni, doni della terra e dell’uomo, che si sovrappongono alla generosità dei Magi nel festeggiare Cristo.

Oggi non è infrequente vederli insieme, albero e presepe, fusi in una stessa scenografia. E che entrambi rappresentino la Natività lo dimostra il fatto che convivono ogni anno in piazza S. Pietro, nel cuore della cristianità, anche se, personalmente, non è quella la composizione natalizia cui penso quando devo raffigurarmi la coesistenza dell’albero di Natale con il presepe. In questo caso, infatti, la mia mente corre verso il Metropolitan Museum di New York, dove, molti anni fa, fu esposto un albero al quale erano stati appesi antichi angeli lignei, che scendevano verso il basso, come fossero gocce di una pioggia di Paradiso; ai suoi piedi un presepe napoletano del Seicento. E tutt’intorno, ovviamente, un’emozione infinita.

di Raffaella Bonsignori

Foto di Enzo Di Stasio

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