Family day: lo specchio dell’Italia bipolare del Gattopardo smacchiato

family-day13-1000x600Le recenti polemiche sul family day e, in ultima analisi, sulla questione dei diritti delle unioni omosessuali lanciano un’ombra sinistra sul modo di concepire la politica nel nostro paese.

Per politica qui si vuole fare riferimento al sistema di preferenze dei singoli individui, il loro modo di concepire il processo democratico e gli effetti che tutto ciò ha sul modo in cui il sistema dei partiti informa le proprie azioni tattiche (conquistare voti) e strategiche (governare il paese o sorvegliare sulla maggioranza di governo).

Ci sono due aspetti inquietanti che si evincono in questa come in altre vicende. Uno di merito, l’altro di metodo. Per quanto attiene il merito, partiamo da una constatazione: l’esistenza di un’asimmetria tra fautori e oppositori della “famiglia gay”. I primi manifestano perché vogliono vedersi riconoscere dei diritti, equiparabili a quelli delle famiglie cosiddette naturali, i secondi glieli vogliono negare, protestando così contro un disegno di legge che tende a livellare queste disparità.

Il razionale delle argomentazioni è a sua volta asimmetrico: chi quei diritti li vuole estendere parte proprio dalla constatazione che, coeteris paribus, vi sono meccanismi giuridici applicati automaticamente a una certa classe di cittadini, mentre non lo sono a loro. Chi li vuole negare sventola invece argomentazioni fondate su un convenzionalismo giusnaturalista che, francamente, appare poco convincente agli occhi di un laico. Tuttavia, se le guardiamo da un’angolazione diversa, ovverosia quella dell’adesione fideistica ai principi religiosi, esse sono perfettamente autosufficienti.

E quindi? La risposta è semplice: alla fine l’ordinamento dovrebbe recepire quello che è l’orientamento della maggioranza, altrimenti significherebbe che qualcosa si è bloccato all’interno del processo democratico. Qualcosa di simile è accaduto con il divorzio, dove il partito di governo dovette soccombere prima alla volontà di una maggioranza trasversale formatasi in parlamento e, dopo aver promosso un referendum, a quella popolare.

Veniamo ora al metodo. Osservando attentamente i fatti, si nota l’esistenza di un processo di estrema polarizzazione delle posizioni che fa leva più sulla pancia che sul cuore della gente. Una contrapposizione netta con posizioni estreme rispetto alle quali non sembra esservi alcun margine di trattativa tra le parti. Eppure, la questione delle famiglie omosessuali è meno secca, e dunque si presta meno al “bipolarismo” estremo, rispetto al divorzio che o c’è o non c’è (tertium non datur). Qui sono in gioco, al contrario, modalità assai diverse di concepire la questione, le quali riguardano sia l’insieme dei diritti da concedere (ad esempio adozioni sì o no), sia le modalità giurdiche attreverso le quali concederle (matrimonio o istituto diverso). Il dialogo scompare, nessuno ascolta le ragioni dell’altro, le argomentazioni sono estreme, il linguaggio si fa chiuso e, in un certo senso, violento.

Il sospetto è che le ragioni di questa battaglia tra diverse fazioni della cittadinanza che si auto-organizzano dipenda dal modo con cui i partiti politici concepiscono, furbescamente, la politica. Essi non si limitano più a occupare spazi di consenso, cogliendo istanze non soddisfatte dall’offerta politica esistente. Al contrario, certi temi li amplificano in modo distorto, cercano di orientare, e sin anche plasmare, il pensiero della gente, offrendo come soluzione la contrapposizione senza se e senza ma. Nasce così una battaglia di tutti contro tutti, dove c’è chi presenta al suo potenziale elettorato capri espiatori, soluzioni radicali e semplicistiche ai problemi e, soprattutto, butta all’aria la lista delle priorità.

A volte, come nel caso in specie, riescono a fare più cose inseme: accanto alle panacee estremiste si confeziona anche il perfetto capro espiatorio.

Questo modo furbo e poco efficiente di fare politica, alla lunga, ha effetti devastanti sul sistema Italia. Esso potrebbe convincerci, ad esempio, che potremmo accogliere venti milioni di migranti o, al contrario, che andrebbero tutti espulsi e che sarebbe cosa buona e giusta sparare a vista contro i barconi della disperazione. Se ci si ferma un attimo a riflettere e si usa un minimo di buon senso, ci si accorge che la verità non risiede in questi estremi.

Tuttavia, se contiamo i voti dei sondaggi politici qualche dubbio circa il fatto che saranno queste le soluzioni a contrapporsi viene. Ma il motivo per il quale la questione appare preoccupante è un altro. Le soluzioni estreme, e dunque sbagliate, sono impraticabili, e questo i partiti lo sanno bene.

Se all’impraticabile si sommano le riforme inutili o quelle fortemente depotenziate rispetto alla bisogna ne esce il ritratto impietoso di un paese in cui si fanno annunci roboanti ma che alla fine vede la montagna partorire un topolino. E’ il paese tratteggiato da Tomasi di Lampedusa: non è cambiato nulla da allora; tutto muta o si annuncia dover mutare affinché rimanga ogni cosa al suo posto. Forse è l’apoteosi dello status quo il motivo per il quale il partito di maggioranza, ormai quasi assoluta, è composto di chi ha deciso di non mettere più una croce sulla scheda elettorale.

Al momento, all’orizzonte non si scorge nulla di credibile sul fronte dell’offerta politica; solo nuvole scure che non promettono nulla di buono.

di Joe Di Baggio

foto: panorama.it

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