Mattarella e il quadro politico nostrano

PIETRO GRASSO MATTEO RENZI  SERGIO MATTARELLA ANGELINO ALFANOUna delle prime azioni del neo presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stata quella di ricordare i due martiri di mafia per antonomasia ovvero Falcone e Borsellino, durante il discorso di insediamento.

Successivamente ha espresso la sua volontà antifascista, recandosi alle Fosse Ardeatine e infine ha parlato in Parlamento delle vittime del terrorismo.

Peccato che non abbia speso una sola parola sui bambini morti in Siria, Iraq e Libia, in conseguenza delle guerre che purtroppo hanno avuto anche il consenso della nostra Repubblica.

Infine, nessun accenno alle bombe all’uranio impoverito sganciate sulla popolazione serba, come se questi attacchi fossero meno importanti di quelli terroristici dei cosiddetti “anni di piombo”.

Certo, mi si obietterà, di tutto non poteva parlare, ma si tratta di episodi talmente gravi, che ci si augura possano indurlo a prendere una posizione netta presto o tardi.

Quello che invece desta preoccupazione, più dell’aver sorvolato certe questioni, è il fatto che si voglia invece lanciarsi su temi più facili e scontati.

A farlo, questa volta è il nostro capo di governo Matteo Renzi, pronto a rassicurare gli italiani e l’Europa circa delle fantomatiche aspettative di crescita, legate ovviamente al suo intervento politico (mentre la casta sta a guardare, tranquillamente assisa nelle plance di comando).

Renzi è positivo su tutto: assomiglia più a un televenditore che ad un capo di Governo, ma anche questa potrebbe essere una tattica del buon Samaritano, per non allarmare le sue pecorelle.

Allora perché il Pil non sta tornando a crescere, perché non sta calando la pressione fiscale, perché non scende la disoccupazione e perché le aziende continuano a chiudere?

Anche in questo caso si glissa su temi più seri, quali ad esempio le vere cause della crisi nostrana, che innanzitutto è una crisi di valori e di cultura.

Nessuno dice che questa crisi è generata dalla frattura fra attori protagonisti e comparse; fra finzione e realtà; fra illusione e negazionismo.

Una delle armi più usate per far credere una cosa piuttosto che un’altra è il depistaggio mediatico, o meglio la “distrazione”.

Questi due fattori pilotano i cittadini su fatti assolutamente irrilevanti, su cui si riversano invece le colpe e le responsabilità dei mali più generalizzati, una su tutte la xenofobia.

Così, gli incidenti stradali sono quasi sempre causati da extracomunitari alla guida; i barconi di immigrati sono una piaga sociale che non dobbiamo sostenere; le violenze carnali sono frutto dell’abominio di stranieri; l’immigrazione è la principale causa del degrado umano, politico e sociale del nostro Paese.

Il discorso fila talmente bene che pure il leghista Verdini sta cavalcando l’onda, sfruttando l’elettorato avverso per antonomasia dal “Carroccio”, ovvero i “terroni”, l’ex nemico pubblico numero uno di Umberto Bossi.

Altro tema su cui si preferisce tacere è la corruzione, una delle vere piaghe del nostro Paese, che è ormai divenuto lo zimbello internazionale.

L’allarme viene dalla Corte dei Conti, che ha puntato il dito sugli affari ille­citi del sistema poli­tico e impren­di­to­riale.

Il malaffare è ormai talmente radicato che i cittadini lo stanno metabolizzando senza opporvi rimedio alcuno.

A tal proposito, il Presidente della Corte Raffaele Squitieri ha sottolineato “Crisi eco­no­mica e cor­ru­zione pro­ce­dono di pari passo, in un cir­colo vizioso, nel quale l’una è causa ed effetto dell’altra. La ricerca tal­volta affan­nosa di stra­te­gie di uscita dalla crisi e la competizione esa­spe­rata per l’accesso a risorse limi­tate favo­ri­scono infatti la pra­tica di vie ille­cite ed atti­vità illegali”.

Sono più questi i fattori che inducono i partner stranieri a non investire in Italia, non certo il fantomatico nodo dell’art. 18 ormai definitivamente stralciato dal Job Act di Renzi.

Eppure sul fronte della corruzione e illegalità, siamo ancora lontani e non sembra si voglia arrivare ad una svolta decisiva.

“Pen­sa­vamo di aver lasciato alle spalle i feno­meni di mala gestione”, ha aggiunto Squitieri alla presenza di Mattarella“ ma i casi come quelli di Roma Capi­tale sono sotto gli occhi di tutti. Il peri­colo più serio per la col­let­ti­vità è ora una ras­se­gnata assue­fa­zione al malaf­fare. Ma que­sto rischio non deve con­cre­tiz­zarsi: Non pos­siamo per­met­tere che que­sto accada. Non pos­siamo lasciare che prenda forza l’idea di una società inca­pace di com­piere scelte col­let­tive, di per­se­guire, a livello di ammi­ni­stra­zione, pub­blica obiet­tivi con­creti e di garan­tire un sistema di ser­vizi effi­ciente e sostenibili”.

Insomma l’italietta di Mattarella è sempre più depauperata intimamente e questo consente di avere libero accesso agli animi e alle menti in maniera più incisiva.

Siamo tutti più plasmabili, in buona sostanza.

Questa nostra mollezza ci induce a credere che le riforme ci salveranno e che il governo, ovviamente non eletto dal Popolo, ci potrà salvare almeno sino al 2018 grazie ai nuovi ritocchi.

Uno di questi prevede la riduzione del numero dei parlamentari, che farà della Camera dei Deputati, un organo decisionale riservato a pochi eletti, graditi ai poteri forti, mentre il Senato, si trasformerà in una specie di parlamentino, svuotato di qualsiasi potere decisionale, in barba ai principi di partecipazione democratica.

Queste le premesse, poche ma essenziali.

Adesso non ci tocca che aspettare i passi del nuovo Presidente: in quale direzione andrà e soprattutto si lascerà condizionare dalla Casta?

di Simona Mazza 

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