Una porta gialla: il Naga, la salute e la difesa quotidiana dei diritti fondamentali

Parcheggio lo scooter all’angolo.

Trovo geniale l’idea di scrivere, sotto i nomi delle vie, cosa avevano fatto nella vita le persone che si sono meritate queste dediche indelebili.

Leggo: via Ludvik Zamenhoff, creatore dell’esperanto. L’esperanto è la lingua nata più di un secolo fa con lo scopo di far dialogare i popoli tra loro per togliere le incomprensioni, le barriere, per la pace. Perché siamo tutti fratelli.

Sto andando a incontrare un’associazione di volontariato che da 25 anni, a Milano, si occupa e preoccupa di persone che provengono da ogni parte del mondo, difendendone i diritti fondamentali, salute compresa. Sto andando a incontrare il Naga. E Zamenhoff mi sembra compiaciuto.

Sono in anticipo ma fatico a trovare la porta giusta.

Immaginavo, non so perché, una porta convenzionale e la scritta Naga enorme accanto al simbolo.

Invece mi trovo davanti una porta gialla e la scritta con le dimensioni giuste per stare nel campanello.

Naga comunque c’è scritto. Suono. Due secondi e la serratura elettronica scatta.

Altra sorpresa, si scende.

Mi accoglie il sorriso un po’ stupefatto di una giovane donna che sta dietro un grande bancone scuro, come se ne vedevano nelle biblioteche anni fa. Dietro di lei, coincidenza, faldoni. Tanti faldoni.

Fa un rapido conto delle probabilità che io, vestiti da ufficio, una 24 ore sulla sinistra, il casco nell’altra mano, non parli italiano: risibili.

“Buongiorno, ha bisogno?” chiede gentile.

“Sì, mi chiamo Luca, ho appuntamento con Lidia (nome di fantasia)”

Va a cercarmela.

“Arriva subito”

“Bene, grazie”.

Lidia si presenta e io faccio lo stesso. Mi porta in giro per la struttura, che è molto più grande di come può sembrare all’inizio.

Ci sono vari ambulatori, mi spiega. I medici volontari dell’associazione visitano ogni giorno decine di cittadini stranieri senza permesso di soggiorno provenienti da ogni angolo del mondo, dall’Egitto al Perù, dallo Sri Lanka all’Ucraina, dal Brasile alle Filippine, dal Senegal alla Cina.

Non è orario di ambulatorio però, e non c’è nessuno. Tuttavia è evidente che il posto è vivo, utilizzato; la stessa differenza che c’è tra una cucina in esposizione e una, perfettamente curata e pulita, di una casa abitata. E’ tutta un’altra cosa.

Ho letto sul loro sito, www.naga.it, che l’operato dell’associazione si estende oltre l’aspetto sanitario, sebbene questo sia comunque centrale.

Vero, conferma Lidia, il Naga garantisce assistenza legale e sociale gratuita a cittadini stranieri irregolari e non, a Rom, Sinti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tortura, oltre a portare avanti attività di formazione, documentazione e lobbying sulle Istituzioni.

Più parliamo, più ho la sensazione che il Naga sia come la struttura che lo ospita, ramificato, giallo-Africa, pratico, color caffè, profondo e verde salvia.

Per ogni attività ci sono -prosegue Lidia- svariate sottodivisioni. Per esempio, l’area socio sanitaria è divisa in ambulatorio (15.000 visite l’anno), medicina di strada (un camper attrezzato si reca nei campi rom per dare assistenza sanitaria, 400 interventi l’anno), Cabiria (un’auto che nella notte dà sostegno a chi è costretto a vendere il proprio corpo).

Parliamo per più di un’ora e mi rendo conto che è impossibile, in un singolo articolo, a meno di non renderlo un mero e banale elenco di attività, raccogliere la complessità di questa associazione.

Ma una sensazione si può dare subito, quella della forza, quella di chi ogni giorno vince piccole e grandi battaglie: dall’ottenere assistenza sanitaria ingiustamente (e illegalmente) negata a una donna in gravidanza, al contributo dato alla stesura del testo unico per l’immigrazione del 1998, ai corsi di fotografia per ritornare a sentirsi umani, passando per l’ascolto di persone incarcerate e senza nessuno che vada anche solo a trovarli.

Se la vorrete ascoltare vi racconterò, un poco per volta, un episodio alla volta, la storia di chi è determinato, nonostante le difficoltà, a fare la differenza… e solo perché è giusto.

di Luca Munaretto 

Foto: naga.it

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