La Cappella di S. Antonio nella chiesa della Madonna delle Lacrime

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Molte volte, o in occasione di una fugace visita, o partecipando a funzioni liturgiche nella chiesa della Madonna delle Lacrime annessa al convento francescano di Dongo, mi sono chiesta chi potesse essere l’autore delle pitture della Cappella di S. Antonio ma, tra i vari artisti che hanno operato in zona, non ho mai trovato una mano avvicinabile a questa. Del resto, se il pittore fosse uno dei tanti che hanno lavorato nelle nostre chiese, qualche studioso avrebbe già dato loro una paternità.

La cappella ha un altare corredato da un paliotto in scagliola della Val d’Intelvi ed è completamente decorata con episodi della vita del Santo incorniciati da quadrature architettoniche dalle linee mosse, ingentilite da grandi mazzi di fiori immessi in vasi dello stesso colore aureo degli inserti sparsi sui finti marmi e della corona attorno alla Gloria di S. Antonio, dipinto sulla volta. Qui il Santo appare vestito col saio francescano, ha le mani giunte ed alzate, così come i suoi occhi rivolti al cielo; due grandi angeli e un angioletto lo sorreggono su una candida nuvola e un secondo angioletto gli sfiora l’avambraccio recando il giglio, suo simbolo. Testine alate guardano ora il Taumaturgo, ora verso la luce che irradia dall’alto.

Sopra l’altare una nicchia accoglie una statua che lo raffigura con in braccio Gesù Bambino, iconografia dal pathos più vicino alla devozione popolare che non quella canonica che lo vuole col giglio e il libro, allusivi della sua purezza, della sua sapienza e capacità di predicazione della Parola. La nicchia è incorniciata dall’architettura dipinta in finto marmo bianco e rosa, dalle possenti volute che mantengono ancora una simmetria secentesca e con due angioletti recanti rami fioriti multicolori, che “staccano” dal fondo più lineare e di tono più scuro.

Le pareti laterali ricordano nella parte centinata il Miracolo della MulaS. Antonio resuscita suo padre. In quattro medaglioni monocromi sono ricordati altri episodi della vita del Santo e suoi miracoli: sono proprio questi che, a mio parere, meglio richiamano la mano del pittore Giovan Battista Sassi, figurativo che lavorò dapprima con Giuseppe Antonio Castelli detto il Castellino e poi coi suoi allievi, Giacomo Lecchi e Giuseppe Castelli, quadraturisti che ne hanno continuato la maniera.

I documenti del Convento citano per la prima volta questa cappella in una lettera del 20 aprile del 1730 e la indicano costruita a spese della “Compagnia Palermitana”, cioè pagata con le rimesse degli emigranti locali a Palermo e probabilmente la sua costruzione e decorazione risalgono attorno a tale data.

Per assonanza stilistica ipotizzo che il Sassi, in piena attività in quegli anni, abbia dipinto la parte figurativa mentre la parte quadraturistica potrebbe essere opera degli allievi del Castellino (Giuseppe Antonio Castelli morì nel dicembre 1724).

Circa la possibilità che questi artisti siano venuti a Dongo faccio due supposizioni: la prima – molto plausibile – deriva dal fatto che il Sassi e il Castellino hanno dipinto insieme nella chiesa di S. Angelo in Milano dei Frati Minori, e i rapporti tra i due Conventi sono intuitivi e, la seconda, molto fantasiosa e tutta da dimostrare, deriverebbe dalle possibili origini mussiane del Castellino.

Tratto dall’articolo pubblicato in “Le campane di S. Martino”, Pianello del Lario, n°2, 2012.

R. F. T.

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