E’ passato esattamente un anno da quando si è riusciti a evitare la “grexit”, cioè l’uscita della Grecia dall’Eurozona, grazie a un pacchetto di aiuti da 86 miliardi di Euro che, sommati a quelli dei precedenti cinque anni, hanno portato a 326 miliardi il totale dell’operazione di salvataggio dei conti del paese ellenico. Il 50% in più di quanto elargito dal 2008 a Portogallo, Spagna e Irlanda messi insieme. In cambio, il governo Tsipras è stato costretto ad accettare una severa riforma delle pensioni, l’aumento dell’IVA, leggi restrittive sul lavoro e privatizzazioni.
Grexit. Un anno dopo
Nel quinquennio 2010-2015, la Grecia ha perso un terzo del PIL e, il 20 per cento più povero della popolazione, ben il 42 per cento della propria capacità di spesa, mentre mezzo milione di persone, su una popolazione di nemmeno undici, ha preferito emigrare. Oggi il debito pubblico greco ha raggiunto i 320 miliardi di euro, pari al 180 per cento del PIL, il rapporto più alto del mondo dopo il Giappone (243% !) e davanti a Stati Uniti (160%), Italia (135%) e Portogallo (130%). Il tasso di disoccupazione è ancora al 24 per cento, il livello più alto d’Europa, insieme alla Spagna.
Un anno dopo aver sventato la grexit, l’economia mostra alcuni segnali di ripresa: nel secondo trimestre di quest’anno, infatti, il PIL è tornato leggermente a crescere e si stima che nel 2017 aumenterà di circa il 2,5 per cento; lo spread è sceso dai 1.168 punti del giugno 2015 agli 888 del maggio di quest’anno (in Italia, nei momenti di crisi più acuta non ha mai superato i 575 punti) e i titoli di borsa sono aumentati del 25%. La situazione contabile, tuttavia, è ancora drammatica, perché le misure di austerità, intrappolate nel circolo vizioso degli aiuti economici da onorare e dalla recessione, non riescono a produrre un aumento delle entrate o una vera riduzione delle uscite.
Creditori finalmente più concilianti
Tutto ciò ha indotto i creditori della Grecia (FMI, Commissione europea e BCE) ad adottare misure impensabili fino a qualche anno fa, approfittando anche del disinteresse che la questione greca ha finito per suscitare nell’opinione pubblica e tra i mass media. Lo scorso maggio, infatti, i ministri delle Finanze dell’area euro hanno deciso di ritardare le scadenze dei pagamenti sui debiti contratti dalla Grecia con gli altri paesi europei. Tale misura, indispensabile per rimettere in sesto i conti del paese ellenico, era stata sinora politicamente impraticabile per l’opposizione della Germania. Ma, oggi, le varie crisi politiche, il voto sulla Brexit, l’emergenza immigrazione e il pericolo Isis hanno indotto l’Unione Europea ad un atteggiamento più “conciliante”.
Tale accordo apre la strada alla possibilità che la BCE torni ad accettare i titoli del debito greco nelle normali operazioni di finanziamento delle banche europee. I titoli di stato ellenici saranno quindi inclusi nel programma del quantitative easing di Mario Draghi e, in tal modo, la Grecia potrà ridurre la sua dipendenza dalla liquidità di emergenza (ELA-Emergency liquidity assistance) che ha un costo decisamente superiore a quello ordinario.
Tsipras in difficoltà
Il ministro delle finanze del governo Tsipras ha dichiarato che tale misura ha messo fine al circolo vizioso dell’economia, permettendo alla Grecia di investire le risorse risparmiate in una serie di misure di sostegno della domanda interna. In particolare, in una manovra sulle pensioni pari all’1% del Pil, in un paese dove il 52% delle famiglie tira avanti grazie a un assegno previdenziale o assistenziale.
Il primo ministro Tsipras è convinto che ciò possa condurre a un avanzo primario del bilancio dello Stato pari al 3,5% nel 2018 ma, politicamente, si trova in difficoltà. La sua maggioranza di governo, comprendente la destra nazionalista, si è ridotta a 153 parlamentari su 300. Inoltre, la sua popolarità sembra in ribasso, a vantaggio del leader del partito di centro-destra Nea Demokratia, Kyriakos Mitsotakis. Nell’ultimo sondaggio di opinione, infatti, Nd è al 26,2% mentre Syriza, il partito di Tsipras è solo al 23,4%. Probabilmente, perciò, dovrà scendere a patti con l’opposizione per adottare i provvedimenti economici più opportuni per uscire finalmente dalla crisi.
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