Siria, fine del conflitto dimenticato

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Siria. All’alba dell’8 dicembre scorso, festa dell’Immacolata Concezione, il dittatore siriano Bashar al-Assad ha lasciato la capitale siriana per chiedere asilo politico a Mosca. È l’epilogo di una guerra civile durata complessivamente 13 anni. Tanto che con il tempo era stata dimenticata dai mass media. Ciò che ha stupito maggiormente è che sono bastati solo 11 giorni all’esercito dell’opposizione per rovesciare il regime.  Dopo un “cessate il fuoco” che sostanzialmente reggeva dal 17 ottobre 2019. Per capire lo stato dei fatti è necessario – come in tutte le vicende medio-orientali – fare il “riassunto delle puntate precedenti”.  

Bashar al-Assad, di religione islamica alauita, era a capo del governo siriano dall’anno 2000. Era succeduto al padre Hafiz che aveva preso il potere nel 1970, cioè 54 anni fa. Gli Assad si appoggiavano alla componente sciita del paese che, insieme agli ismailiti e agli alauiti rappresentano il 15% della popolazione. I musulmani sunniti sono il 74% dei siriani e i cristiani il 10% circa. Il regime era sostanzialmente filo-russo sin dai tempi dell’ex Unione Sovietica, a cui aveva concesso una base navale a Tartous. La base è tuttora la più forte presenza militare russa nel Mediterraneo.

Guerra civile in Siria, figlia della ‘primavera araba’ di Barack Obama

La guerra civile iniziò nell’estate del 2011, con le proteste degli oppositori al regime, ben presto represse nel sangue. Le proteste erano state fomentate dagli Stati Uniti del Presidente Barack Obama, nell’ambito della politica delle “primavere arabe”. È tuttora oggetto di discussione se Obama avesse capito o meno che solo una minoranza dell’opposizione professava idee democratiche. La maggior parte infatti era fondamentalista islamica, jihadista e con elementi di Al-Qaeda.

Presto, a sud-est del paese e con forti aderenze nel confinante Iraq, il gruppo fondamentalista dell’ISIS formò il c.d. Stato Islamico (sunnita). I primi a contrapporsi ad esso furono i curdi, una popolazione interstatale di circa 35 mln abitanti già fruente di autonomia nell’Iraq settentrionale.

Con l’occasione, i curdi dettero inizio a una forma di autogoverno anti-Assad anche nel nord-est della Siria. Ma i curdi sono visti come il fumo negli occhi dal Presidente turco Recep Erdogan. I loro connazionali di Turchia, infatti, aspirano alla secessione anche tramite la lotta armata del PKK . Completa il quadro l’occupazione israeliana delle alture del Golan, a un passo da Damasco. Tale occupazione risale addirittura alla Guerra dei Sei giorni, del lontanissimo 1967.

Siria, a complicare le cose la nascita dello ‘Stato islamico’

Questa situazione già estremamente conflittuale ebbe un’escalation con l’intervento delle potenze straniere a partire dal biennio 2014-2015. Gli Stati Uniti scesero in campo per combattere l’ISIS affiancati – più o meno formalmente – da Francia, UE, UK e alcuni paesi arabi “moderati”. I Russi ne approfittarono per sostenere incisivamente Assad. Infine, sempre a fianco di Assad ed in nome di una “fratellanza” sciita, scesero in campo anche Iran ed Hezbollah libanesi.

Lo Stato islamico venne ufficialmente sconfitto nel dicembre 2017, grazie soprattutto all’azione dei curdi, armati dall’Iran e con il supporto della coalizione a guida USA. Alcuni guerriglieri ISIS si rifugiarono nel deserto ai confini con l’Iraq, dove continuano ancora a combattere. Per questo gli USA mantengono alcune forze armate a sud est del paese, relazionandosi con i curdi. UE, UK e paesi arabi moderati, invece, tolsero il disturbo.

Ci fu poi un attacco diretto (rappresaglia?) degli Usa verso siriani e russi, all’epoca della prima Presidenza Trump. Fu in risposta di un presunto attacco chimico dei governativi siriani verso le forze di opposizione. Queste d’altronde si erano mosse a suo tempo perché spalleggiate dagli Stati Uniti. Sono quindi formalmente in credito verso USA. Indipendentemente da chi sia l’inquilino della Casa Bianca.

Determinante per la sopravvivenza di Assad fu l’intervento russo

L’intervento russo consentì alle forze governative di rimanere al potere e di riconquistare ampi territori caduti in mano ai “ribelli”. Tra questi Aleppo, la seconda città della Siria. Nel frattempo, però, più di sei milioni di siriani, ovvero oltre un quarto della popolazione, avrebbe cercato asilo all’estero. Ad essi si sommano altri otto milioni di sfollati interni. Si calcolano inoltre in 620.000 le vittime della guerra, di cui oltre 300 000 civili.

Per dare rifugio alle forze di opposizione, Erdogan oltrepassò il confine e occupò una consistente fetta di territorio con al centro la città di Idlib. Qui concordò con i russi e i governativi il “cessate il fuoco” del 17 ottobre 2019. Ma, a nostro parere, è difficile scartare l’ipotesi che dietro alla Turchia (membro NATO) non vi siano gli Stati Uniti. Erdogan, in ogni caso, occupò una striscia di territorio anche a nord del Kurdistan, minacciando di riversarvi un milione di profughi siriani.

Siria, il nuovo leader si chiama Mohammed al Jolani

Il conflitto sostanzialmente addormentato da più di cinque anni si è improvvisamente risvegliato nemmeno due settimane fa. Per concludersi come detto – con la “fuga” di Assad e la presa del potere delle opposizioni. Il motivo è stato l’indebolimento delle forze della Russia e dell’Iran e di Hezbollah. I primi perché hanno dovuto concentrare uomini e mezzi nella Guerra in Ucraina. I secondi perché enormemente indeboliti dagli attacchi israeliani in Libano e nello stesso Iran. I Russi si sono rifugiati con i loro (pochi) mezzi corazzati a Tartoul. Hezbollah ha oltrepassato il confine libanese. Gli Iraniani sono tornati quasi tutti in Patria.

Per i nuovi padroni ha parlato il loro leader Abu Mohammed al Jolani.Già appartenente ad Al Qaeda, è ancora in vigore, su di lui, una taglia di 10 mln dollari USA. Ha prima dichiarato di aver abbandonato il jihadismo e di voler proclamare uno Stato laico. In esso tutte le confessioni religiose dovrebbero avere il giusto spazio. Poi però, di fronte alle folle acclamanti, si è lasciato sfuggire che la sua è una vittoria del “nazionalismo islamico”.

Anche nel suo caso, è quanto meno presumibile che tale conversione – più o meno completa – sia dovuto al probabile appoggio americano. Quanto meno per interposta persona di Erdogan. Entrambi, infatti, mentre Jolani era ad Idlib, hanno fatto in modo che la taglia sulla sua testa non avesse effetto. Gli USA, tramite l’”anatra zoppa” Joe Biden, hanno subito fatto sapere che non abbandoneranno il paese perché “il pericolo ISIS” è sempre vigente. Il discorso era rivolto a Erdogan perché non ne approfitti per combattere a sua volta i curdo-siriani (a suo tempo nemici dell’ISIS). Ma soprattutto ad Al Jolani, perché non ritorni presto su posizioni jihadiste.

Vincitori e vinti tra le potenze straniere

Se, tra le potenze straniere, Stati Uniti e Turchia possono essere considerate vincitrici, anche Netanyahu, a nome di Israele ha cantato vittoria. «Assad era il nostro più antico nemico – ha detto – E la sconfitta di un nostro nemico è la nostra vittoria». Nel frattempo ha occupato un’altra “fettina” di alture del Golan. Approfittando che anche lì il contingente ONU ha fatto per tempo armi e bagagli.

Al contrario, il grande sconfitto di questa rapida escalation si chiama Vladimir Putin, al di là di ogni ragionevole dubbio. Ha perso l’unico vero alleato in Medio Oriente e, probabilmente, dovrà dire addio ai sogni di espansione in Nord-Africa. Se i neo-vincitori si mettono a cannoneggiare anche Tartous, non gli resterà che abbandonare la sua unica base nel Mediterraneo. La “rivoluzione siriana” inoltre tronca il corridoio sciita che metteva in comunicazione Teheran con Beirut e il Mediterraneo. Tra gli sconfitti, quindi, anche gli Ayatollah dell’Iran e i loro alleati Hezbollah.

Rimandato a chissà quando il giudizio sul destino post-rivoluzione dei Curdi. La loro situazione rimarrà in stand-by sin quando non decidano gli americani. Poco probabile che li appoggino per la costituzione finalmente di un loro Stato indipendente. Più facile che rimandino ogni decisione al declino – prima o poi – della figura di Erdogan.

Foto di un-perfekt da Pixabay

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