Negoziati di pace in Siria e in Libia potrebbero preludere alla fine di queste due guerre civili

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Negoziati di pace. L’attenzione dei media italiani, come sempre, si concentra sulle beghe tra partiti che hanno effetto immediato sulle nostre tasche. Nel frattempo però nel bacino del Mediterraneo e in Ucraina la diplomazia è al lavoro con conseguenze che ci trascineremo nei prossimi decenni. E sarebbe il caso che l’opinione pubblica sia messa al corrente di tali avvenimenti. Cominciamo con il Medio Oriente.

Il 28 dicembre i Ministri della Difesa di Turchia, Russia e Siria hanno tenuto a Mosca un incontro per garantire la stabilità in Siria. Al-Watan ha scritto che, nell’incontro trilaterale, la «Turchia ha accettato di completare il ritiro dalla Siria nordoccidentale». Inoltre: il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Siria e la riapertura dell’autostrada che collega le province di Latakia e Aleppo. In sostanza ciò significherebbe il fallimento della politica espansionistica di Erdogan in Siria.

L’accordo del 28 dicembre, se attuato, significherebbe la fine della Guerra civile in Siria

Erdogan aveva timore che la minoranza turca di etnia curda si alleasse con i connazionali siro-irakeni e proclamare un grande Kurdistan indipendente. Per questo aveva accettato (2018) di radunare e proteggere gli oppositori di Assad nella provincia di Idlib e nel distretto di Afrin. Qui gli Usa (e la Russia) lo avevano autorizzato a scacciare la minoranza curda. Poi (nel 2019) si è impadronìto di una “zona cuscinetto” tra il Kurdistan siriano e quello turco. Con l’intenzione di riversarvi circa un milione di profughi siriani antigovernativi (quindi filo americani) già rifugiatisi in Turchia.

Qualora venisse attuato l’accordo di Mosca, il progetto di Erdogan 2019 fallirebbe miseramente. In realtà, nella logica della guerra d’interposizione, la Turchia è perfettamente funzionale alla politica estera USA. Che della sua situazione interna con i Curdi se ne disinteressa ampiamente. Il trattato del 28 dicembre significa la fine della guerra civile in Siria, con la vittoria di Assad, appoggiato da Russia e Iran. È strano che i media italiani non lo abbiano notato.

Negoziati in Siria. Perché proprio ora?

Per quale motivo proprio quando è sempre più pressante la necessità di un negoziato per la guerra in Ucraina, Erdogan e Putin si sono incontrati per la guerra civile siriana? Perché è evidente che, dietro le quinte, i negoziati per la conclusione della guerra in Ucraina si stanno già svolgendo. Tra USA e Russia. E Putin ha posto come condizione la “normalizzazione” (secondo il suo punto di vista) della situazione in Siria. Gli Stati Uniti, ai quali da tempo non interessa affatto di supportare l’opposizione democratica ad Assad, non hanno posto obiezioni. Ed hanno ingiunto ad Erdogan di ritirarsi.

Chiaramente Erdogan lo ha fatto perché ha tutto da guadagnare da un cessate il fuoco in Ucraina sulle posizioni al momento acquisite dalle parti. Per questo, successivamente all’accordo per la Siria si è ancora una volta offerto a far da mediatore per la pace in Ucraina. In realtà non c’è niente da mediare perché i negoziati – come detto – già si stanno svolgendo dietro le quinte tra Russia e USA.

Zelensky a Washington e i mercenari russi a Soledar

Contemporaneamente ai negoziati di Mosca c’è stato un primo colpo di scena. Il 22 dicembre il Presidente ucraino Zelensky si è recato negli Stati Uniti per conferire con Biden. A Zelensky infatti non va giù di firmare un cessate il fuoco che, prevedibilmente, concede alla Russia di mantenere il possesso dei territori ucraini occupati. Ma sa anche che non può opporsi ai desiderata di Biden, visto che il prosieguo della guerra, per l’Ucraina, è condizionato agli armamenti che gli passano gli USA e la Nato.

Quindi ha tentato di convincere Washington di essere perfettamente in grado di liberare altri territori occupati. Biden, pur poco convinto, lo ha autorizzato a proseguire il conflitto sino al termine della stagione invernale. Poi avrebbe tratto le sue conclusioni. La tregua chiesta da Mosca per il Natale ortodosso (7 gennaio) sembrava confermare le difficoltà sul campo dell’esercito di Putin.

Invece, nonostante le velleità di Zelensky, in questi giorni c’è stato un altro colpo di scena. I mercenari serbi e kazaki del gruppo Wagner, al soldo dei russi, hanno conquistato la cittadina di Soledar, nel Donbass. Non accadeva dallo scorso agosto che i russi guadagnassero qualche palmo di territorio. Scompaginando perciò i piani di Zelensky. Subito (13 gennaio) il presidente siriano Assad ha sollecitato Ankara ad avviare il ritiro dai territori siriani occupati. Da quanto emerge nelle ultime ore, sembra che alcune operazioni siano state avviate.

Si tentano negoziati anche per la fine della Guerra civile in Libia

Nel frattempo, però, si è aperto un altro fronte negoziale che interessa maggiormente l’Italia: la Libia. Dopo undici anni di assenza, Washington ha inviato il direttore della CIA, William Burns, a colloquio con il primo ministro libico Hamid Dbeibah. Lo stesso Burns si è poi recato a Rajma, presso Bengasi, negli acquartieramenti del generale Khalifa Haftar. Ad entrambi ha recapitato lo stesso messaggio: la situazione di guerra civile, in Libia, deve finire, con o senza la vostra volontà.

Per riassumere le puntate precedenti. Da anni in Libia si confrontano il governo nominale di Tripoli (Dbeibah) e l’esercito di Haftar, di stanza in Cirenaica. Il primo sostenuto dall’esercito di Ankara. Il secondo da quello egiziano, ancora le milizie della Wagner e altri mercenari siriani per conto dei russi. Con tutte le conseguenze per quanto riguarda il traffico di armi e il terrorismo internazionale. A tutto ciò si aggiunge che, per motivi geografici, la Libia rappresenta la maggior fonte di petrolio per l’Italia e il problema migranti.

Negoziati, anche Tajani si offre come mediatore

Per tale motivo c’è stata anche una timida iniziativa del nostro Ministro degli Esteri. Tajani ha infatti annunciato (13 gennaio) di volersi porre come intermediario tra Turchia ed Egitto per la normalizzazione della situazione libica. Anche in questo caso sarebbe strano che Washington abbia parlato con i piccoli (Dbeibah e Haftar) senza aver già contattato i grandi. Cioè Turchia, Egitto e, soprattutto, Russia. Poiché Putin ha urgente necessità di riunire i mercenari della Wagner (e magari anche quelli siriani) per utilizzarli tutti nel Donbass.

Insomma, questa iniziativa Usa in Libia sembra voluta per indurre Zelensky a consigli più miti. Cioè accettare un cessate il fuoco che consenta a Putin di mantenere i territori occupati. Un buon 20% di Ucraina composto da Donbass, Crimea e il loro collegamento territoriale. A nostro parere sarà difficile che Zelensky riesca a resistere da un lato alle milizie Putin e dall’altro alle sollecitazioni di Washington. Lucio Caracciolo, il direttore di Limes, ha però detto a La7 che, secondo lui, la guerra in Ucraina durerà ancora a lungo. Noi attendiamo gli eventi per poi commentarli ai lettori.

Foto di djedj da Pixabay

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