Pittori romani tra l’ottocento e il novecento. L’Associazione degli acquarellisti romani nacque nel 1875. In Francia ferveva l’impressionismo e in Italia, sin dal 1855, era nato il movimento dei “macchiaioli”. I romani si misero a dipingere en Plein Air come gli impressionisti ma prediligendo le tematiche della vecchia Roma e della campagna romana. Li distingueva dagli impressionisti la tipologia dei colori utilizzati. I loro rivali francesi, grazie all’invenzione dei colori in tubetto, utilizzavano infatti la pittura ad olio. Ciò consentì loro di stendere quelle pennellate sfumate che li rese immortali. I pittori romani invece si specializzarono nella tecnica dell’acquarello. Mantenendo una maggior precisione nei contorni delle figure.
L’Associazione degli acquarellisti romani sorse per iniziativa di Ettore Roesler Franz e Nazzareno Cipriani. Poi si unì Ettore Ferrari, scultore ma anche pittore. Ferrari stava realizzando il monumento a Giordano Bruno da porre in Campo de’ Fiori. Ma era anche il Gran maestro della Massoneria. Infatti i componenti dell’associazione furono per la maggior parte massoni. Tra loro giganteggia il fondatore dell’associazione stessa: Ettore Roesler Franz.
Tra i pittori romani eccelse Ettore Roesler Franz, l’acquarellista di ‘Roma sparita’
Poeta cromatico ed inguaribile romantico, Roesler Franz (1845-1907) lasciò ai romani la storia non scritta della loro città. Non disdegnando l’utilizzo della fotografia, fissò con puntigliosa tempestività quegli aspetti che stavano soccombendo per sempre. La Roma Sparita, quella medioevale, il Ghetto, le sponde del Tevere ancora non trasformate in muraglioni e, soprattutto l’Isola Tiberina. In circa trent’anni, con il suo cavalletto, dipinse oltre un centinaio di tele. Ancora oggi è possibile ammirarle al Museo di Palazzo Braschi. Oltre che in migliaia di riproduzioni diffuse in ogni dove.
Nazzareno Cipriani (1843-1925), invece, colse nei suoi acquerelli scene di genere, di costumi e di vita popolare. I suoi quadri principali sono: Pastorella in costume laziale, Il pifferaio, Ciociara, Ragazza che tira l’acqua da un pozzo e Frate che estrae un dente. Rappresentazioni di genere, tanto amate dai turisti del Grand Tour, ma realizzate con dovizia di particolari. Non dimentichiamo poi il senese Cesare Maccari (1840 –1919) che illustrò Roma con i suoi affreschi. Decorò il Salone d’Onore di Palazzo Madama, sede del Senato con Cicerone denuncia Catilina e Appio Claudio cieco. Un altro suo affresco al Palazzo di Giustizia: Faustolo che trova i gemelli. Fu anche acquafortista.
Pittori romani tra l’ottocento e il novecento, i ‘XXV della campagna romana’
Filippo Anivitti (1876-1955), proveniva dall’Associazione degli Acquarellisti romani in cui si era iscritto giovanissimo. Si dedicò inizialmente ai ritratti. In seguito i suoi soggetti preferiti divennero gli scorci della vecchia Roma. Poi si unì al gruppo dei ‘XXV della campagna romana’. Dipinse le paludi pontine, i ruderi medioevali, gli acquedotti immersi in panorami vasti e profondi. Narrò la vita minuta che li animava: pastori, pecore, cavalli. Presenze mute di straordinario fascino, come sospese nel tempo e nello spazio. In molte opere ha espresso eccellentemente la solitudine della campagna romana.
Tra i 25 pittori brillò Duilio Cambellotti (1876-1960). Fu uno dei primi designer d’arredamento, poi scenografo teatrale. Passò alla storia come il pittore del mondo contadino. La sua pittura investì temi d’origine rurale. Segno distintivo: una spiga di grano presente già nei suoi mobili, prima che nelle opere.
Giulio Aristide Sartorio (1860-1932) è un altro artista poliedrico che eseguì affreschi, mosaici e quadri. Abbracciò inizialmente il verismo pittorico. Ambientò nella campagna romana il suo Malaria, esposto alla Biennale di Venezia del 1882. Del 1914 è L’aratura di novembre o Buoi all’aratro. Spaziò nel liberty e nelle tematiche mitologiche, sino ad arrivare al simbolismo. Si ricorda, infine Giordano Bruno Ferrari (1887-1944), figlio del Gran Maestro Ettore.
Allegre scampagnate ma anche impegno politico nella Resistenza
Le riunioni dei “25” furono animate dal poeta Cesare Pascarella, che fu anche pittore. Ne riprodusse le atmosfere nel sonetto Er fattaccio: «Erimo venticinque in compagnia/De li soni. Fu un pranzo prelibato./Dopo pranzo fu fatta un’allegria/Tutti a panza per aria immezzo ar prato/A l’aria aperta, e dopo avè ballato,/Ritornassimo in giù all’avemaria».
I ‘XXV della campagna romana’ furono sciolti dal fascismo il 12 novembre 1930. Troppo forte era ancora la matrice massonica derivante dall’Associazione degli acquarellisti, di cui erano una filiazione. Durante la guerra, Giordano Bruno Ferrari organizzò nel proprio studio in via Margutta un centro antifascista. Raccoglieva informazioni riservate, per passarle clandestinamente agli Alleati. Il 13 marzo 1944 fu arrestato dai Tedeschi e torturato. Poiché non rivelò nulla, fu condannato a morte e fucilato il 24 maggio a Forte Bravetta.
Foto di Julian Kern da Pixabay
[…] il prevalere dell’astrattismo la pittura romana superava definitivamente il “verismo” degli acquarellisti di fine secolo e dei “25 della Campagna romana”. Gli artisti romani persero per sempre la propria identità […]