Pittura a Roma nel secondo dopoguerra: Guttuso e gli astrattisti

pittura

Pittura a Roma nel secondo dopoguerra. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, Roma fece da cornice al proliferare di una creatività artistica dirompente. Le numerose opere prodotte riportavano sia il vissuto collettivo, l’esperienza individuale e la militanza politica dei loro autori. Sia il tentativo di porre in dialogo l’arte con la scienza. Su tali basi, ben presto si registrò la nascita di schieramenti molto diversi fra gli artisti.

Il contendere, tuttavia, non derivava dall’appartenenza a differenti ideologie politiche o filosofiche. Ciò che li differenziava era il linguaggio pittorico. A molti, ormai, i canoni della pittura figurativa andavano stretti. Un numero sempre maggiore di artisti cominciò ad aderire all’astrattismo, o meglio, al non-figurativo.  In ogni caso, non si poteva più prescindere dai risultati ottenuti dagli altri artisti italiani e, soprattutto, europei e mondiali. Ricostruiamo il clima artistico di una Capitale in costante cambiamento.

Pittura a Roma, Guttuso e il “Fronte Nuovo delle Arti”

Il primo gruppo di riferimento degli artisti di nuova tendenza fu il “Fronte Nuovo delle Arti” attivo anche a Venezia e a Milano. Il “Fronte Nuovo” riunì i firmatari del Manifesto della “Nuova secessione artistica italiana” del 1946. Tra i firmatari attivi a Roma, l’elemento di spicco fu il trentacinquenne siciliano Renato Guttuso. Guttuso, nel 1939, era stato tra i fondatori di “Corrente”, una rivista culturale di ispirazione antifascista. Nel 1940 aveva dipinto un’eccezionale “Crocifissione”.

Gli artisti del “Fronte”, pur provenendo da esperienze differenti, a volte antitetiche, trovarono una sintesi nell’adesione al linguaggio del “postcubismo”. Con tale termine si intendeva un’area che coniugava l’esperienza del cubismo a quella dell’espressionismo.  Tale visione dell’arte si basava sull’opera “Guernica” di Picasso. Rispetto a “Guernica” i postcubisti italiani tuttavia non trascuravano l’utilizzo dei colori vivaci, senza particolari sfumature pittoriche. In ciò si agganciavano alla scuola fauve di Henry Matisse.

Pittura a Roma, i non figurativi del gruppo ‘Forma1’

Passò solo un anno dalla formazione del “Fronte Nuovo delle Arti” che si costituì il nuovo gruppo “Forma1”. Vi confluirono artisti operanti in Roma, anche se originari di altre città. Le loro tesi furono indicate nel primo numero del foglio omonimo dell’aprile 1947. Essi lasciarono alle spalle il linguaggio postcubista aderendo all’approccio “non-figurativo” della forma pittorica. Tra essi il trentacinquenne mantovano Giulio Turcato, Piero Dorazio, i siciliani Carla Accardi e Pietro Consagra e il genovese Ugo Attardi, tutti poco più che ventenni.

Tale approccio non figurativo non era estraneo nemmeno a taluni artisti del “Fronte Nuovo”, in particolare tra i non romani. Tra costoro il veneziano Emilio Vedova che professava una pittura geometrica, fatta di linee spezzate prevalentemente nere. Per non snaturare le basi del gruppo, Guttuso propose l’ammissione di Mario Mafai, e Corrado Cagli. Due pittori provenienti rispettivamente dalla “Scuola romana” e dalla “Scuola di Via Cavour” di anteguerra. Inoltre, del “neo-futurista” Sante Monachesi e dei fratelli Afro e Mirko Basaldella, tutti con esperienze internazionali.

Fu però un tentativo disperato. Cagli e Mafai stavano già andando verso il non figurativo. Ad Afro Basaldella la definizione di artista figurativo stava già molto stretta. Il fratello Mirko era principalmente uno scultore. Ben presto perciò l’astrattismo ebbe la prevalenza. Guttuso ed altri, allora, annunciarono l’abbandono del Fronte, che si sciolse ufficialmente il 3 marzo 1950 a Venezia.

Pittura a Roma, ‘Origine’ e il ‘Gruppo degli Otto’

L’anno dopo gli astrattisti Alberto Burri e Giuseppe Capogrossi, già firmatario, nel 1933, del Manifesto del Primordialismo Plastico, danno vita al gruppo “Origine”. Nel 1952, altri otto artisti fondarono il “Gruppo degli Otto”. Tra costoro Gastone Novelli e Toti Scialoja. Ma anche i già citati Afro e Mirko Basaldella, Renato Birolli, Giulio Turcato ed Emilio Vedova.  Gli “Otto” erano quindi tutti romani d’origine o d’adozione o comunque ormai “romanizzati”.

La presentazione del gruppo, alla Biennale di Venezia, fu scritta dal il critico d’arte Lionello Venturi. Tali artisti, scriveva, “non sono e non vogliono essere degli astrattisti; essi non sono e non vogliono essere dei realisti”. “Adoperano quel linguaggio pittorico, che dipende dalla tradizione iniziatasi attorno al 1910 e comprendente l’esperienza dei cubisti, degli espressionisti e degli astrattisti”. E poi: ” Non sono dei puritani in arte… accettano l’ispirazione da qualsiasi occasione e non si sognano di negarla”.

Prevale il non figurativo, Guttuso resta solo

La tesi di Venturi “mascherava” il prevalere dell’astrattismo sul figurativo, sia pur filtrato dall’etichetta “postcubista”. Tanto è vero che su tali basi il gruppo degli Otto si sciolse dopo soli due anni. Dagli anni sessanta anche il marchigiano Sante Monachesi si dedicò principalmente alla scultura. In sostanza a Roma, dalla metà degli anni cinquanta, l’unico “gigante” rimasto fedele alla pittura realistica e figurativa fu Renato Guttuso.

Il non figurativo adotta per definizione un linguaggio visuale di forme, colori e linee che prescinde dalla rappresentazione di oggetti reali. Con il prevalere dell’astrattismo la pittura romana superava definitivamente il “verismo” degli acquarellisti di fine secolo e dei “25 della Campagna romana”. Gli artisti romani persero per sempre la propria identità territoriale per divenire espressione di un sentire che appartiene all’intera umanità.

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