Nuovi inizi: la rinascita dell’innominato

Innominato rinascita

A Capodanno è come se non solo la sequenza dei dodici mesi, ma anche noi in qualche modo ripartissimo da capo. Nuovi propositi, nuove speranze, nuove sfide. C’è a chi torna la voglia di fare cose che ha sempre rimandato… e che magari rimanderà ancora. Oppure chi si prende dieci minuti per fare il bilancio di quello che ha e di quello che non ha, di quello che ha fatto e di quello che può ancora fare. Si spera in un cambiamento in meglio, in una rigenerazione. E allora come non ricordare una delle rinascite più belle della letteratura italiana: quella dell’innominato, il personaggio più misterioso e sorprendente di I promessi sposi.

La crisi di coscienza

Lo incontriamo nel suo castello «a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti». Viene presentato come un uomo crudele e senza scrupoli, incline a qualsiasi tipo di delitto. Ma quando don Rodrigo lo raggiunge per organizzare il rapimento di Lucia, scopriamo che l’innominato è già in preda a una crisi di coscienza. Scrive Manzoni: «Già da qualche tempo [l’innominato] cominciava a provare, se non un rimorso, una cert’uggia delle sue scelleratezze». E aggiunge che: «Quelle tante [scelleratezze] ch’erano ammontate, se non sulla sua coscienza, almeno nella sua memoria, si risvegliavano ogni volta che ne commettesse una di nuovo, e si presentavano all’animo brutte e troppe: era come il crescere di un peso già incomodo».

La provvidenza dunque sta già agendo in lui. Sono già comparse le prime crepe di quella che presto sarà una frattura insanabile tra l’io carnefice e l’io pentito pronto alla redenzione. Ma l’innominato fatica a accogliere il nuovo se stesso. Cerca di rifuggirlo accettando di far rapire Lucia e — nonostante qualche rimorso di coscienza — passando all’azione. Il risultato è un incontro previsto che ha un effetto imprevisto. Trovare Lucia disperata e spaventata, vederla implorare per la libertà, sentirla pronunciare la frase Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia, lo porta a prendere atto che qualcosa in lui è cambiato irrimediabilmente. 

La conversione e il cardinal Borromeo

Dopo una notte terribile e angosciosa, l’innominato si risveglia come un uomo nuovo, pronto a fare tanto bene almeno quanto male ha fatto in passato. Il suo cuore è in fermento, e il suo fermento si mescola a quello di tutto il paese che circonda il suo castello. «Gli atti indicavano manifestamente una fretta e una gioia comune […]. [L’innominato] Guardava e riguardava; e gli cresceva in cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa». Il motivo di tanta allegria è la venuta del cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano famoso per essere un sant’uomo.

Borromeo è una figura d’eccezione. Oltre che di una condotta impeccabile e di una cultura sterminata, è dotato di una saggezza superiore a quella di ogni altro personaggio del romanzo. Nonostante sia riconosciuto come un’autorità in campo morale, egli si dimostra umile, pronto a mettersi in discussione, incline a mettere da parte i giudizi per guardare al prossimo con gli occhi di Dio. È proprio lui infatti il primo a accorgersi che la conversione dell’innominato è un evento eccezionale e che assistervi è un privilegio («Appena introdotto l’innominato, Federigo gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a una persona desiderata»). L’ accoglienza entusiastica del cardinale, per il convertito è come un secondo battesimo, la ratificazione di una rinascita.  

Foto di FotoRC da Pixabay

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