Non perdere ciò che è importante per ciò che si presenta urgente

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Attraverso il Vangelo di questa domenica (Mt 22, 1-14), Gesù ci consegna una nuova parabola, suggestiva, ricca di immagini e di allegorie; pertanto, senza sorprenderci, siamo chiamati a leggere questa pagina non come un semplice racconto di una festa nuziale ma come una vicenda attraverso la quale Gesù vuole comunicarci la magnanimità di Dio.

Tutto, infatti, risulterebbe sproporzionato ed eccessivo, dal momento che si rifiuta l’invito alle nozze e che addirittura, con insulti ed alterchi, si arrivi ad usare violenza; infine, la bontà di questo re non trova riscontro nella furiosa reazione contro colui che nella sala delle nozze, alla fine del racconto, non ha indossato l’abito della festa. La parabola, dunque, non si interpreti letteralmente perché ne uscirebbe una lettura molto superficiale. La parabola, invece, è innanzitutto un evento che smuove, scuote ed esorta, una parola che interiormente mette in moto dinamiche di cambiamento e di trasformazione. Al fine di comprendere meglio il racconto di queste nozze, è opportuno esaminare dettagliatamente le motivazioni per cui gli invitati non accettano l’invito al banchetto.

Secondo la versione tramandataci dall’evangelista Matteo essi “non si curarono dell’invito e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari”. In Luca, invece, l’invitato alle nozze rifiuta, dicendo: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato. Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire (Lc 14, 18-20). Cosa hanno in comune i personaggi? Tutti hanno da fare qualcosa di urgente, che non può aspettare. E cosa intravediamo, invece, attraverso il banchetto nuziale? Esso indica espressamente un bene messianico, cioè, la salvezza per l’uomo apportata dalla Risurrezione di Cristo, quindi la possibilità certa che l’uomo, sin da ora, può vivere di eternità.

Il banchetto di nozze, dunque, è la cosa più importante che dobbiamo considerare nella nostra vita cristiana, per evitare così di commettere lo stesso errore degli invitati, quello cioè, di tralasciare le cose importanti per ciò che è urgente; in altri termini, di non curarsi abbastanza dell’essenziale per badare alle cose contingenti. Un rischio molto diffuso questo, e nello stesso tempo insidioso, non solo sul piano religioso ma anche su quello umano.

Analizziamo, quindi, le due prospettive. Sul piano spirituale, tralasciare ciò che è importante per le cose urgenti significa procrastinare continuamente l’adempimento dei doveri religiosi. La nostra fede, così, si indebolisce a causa del sopravvento delle cose materiali su quelle spirituali. Sul piano umano, invece, si rischia di trascorrere gran parte del proprio tempo a rincorrere le piccole faccende da sbrigare, non trovando mai tempo per ciò che incide davvero sui rapporti umani. Spesso, infatti, succede che alla famiglia si sostituisce facilmente il lavoro, alla visita ad un ammalato la premura di sbrigare le faccende domestiche, alla cura della propria salute la tutela del bilancio economico. Non è vero?

Il Vangelo di questa domenica ci mette in guardia e ci esorta a fissare seriamente nella nostra vita ciò che si chiama “priorità” e, soprattutto oggi, a ricercare solo ciò che è davvero essenziale; in altri termini, a non perdere ciò che è importante per ciò che si presenta urgente, come è accaduto agli invitati della nostra parabola. Consideriamo, inoltre, che il Padre è generoso nei nostri confronti, ci propone la sua amicizia ed anche se non lo meritiamo ci consegna i suoi doni, ci fa sperimentare la gioia di appartenerGli ma spesso siamo lontani dal suo amore, non vogliamo accogliere affatto le sue parole; siamo distratti, mettiamo al primo posto altre cose, soprattutto le molteplici preoccupazioni materiali ed i tanti interessi. Approfondiamo il rapporto con il nostro Dio attraverso la conoscenza assidua della sua parola, con la preghiera e le opere di carità, ma soprattutto attraverso la frequenza costante all’Eucarestia domenicale, il banchetto delle nozze dell’Agnello a cui tutti noi siamo chiamati. L’Eucarestia, il divino farmaco dell’immortalità, è anzitutto instaurare la comunione con Cristo, professato da ogni battezzato come “Dio da Dio, Luce da Luce”, ma anche “Amore da Amore – aggiungerebbe Paolo VI – vivo e vero. Agnello immolato per la salvezza di tutti, amico e fratello, sposo misteriosamente nascosto eppure glorioso nella vita di Risorto, che ci comunica i frutti del mistero pasquale”. Non mediteremo mai abbastanza la ricchezza che ci viene da questa intima comunione di amore con il Cristo Eucaristico. Ci inoltreremmo, infatti, nei meandri più impervi del mistero di Dio.

Dinanzi ad un mistero così grande la ragione si arresta e la mente si perde. Umanamente i sensi dubitano perché si trovano davanti a due realtà già conosciute: il pane e vino, due alimenti indispensabili del nostro cibo quotidiano, due segni umili e comuni che nascondono la più grande realtà accessibile a tutti: Cristo vivo e vero. E a proposito, il Beato Papa Giovanni XXIII esprimeva in questi termini la sua gratitudine per questo grande dono: “Grazie o Dio. Molti ancora oggi sanno apprezzare la ricchezza infinita dell’Eucarestia. Ai piedi dell’altare si ritrovano piccoli e grandi. È la Comunione ad infondere coraggio, quello che nessun intervento o scienza dell’uomo può riuscire mai ad ottenere fra noi. Essa dona incomparabili energie che occorrono per il compimento del proprio dovere, per avere pazienza ed operare il bene”. Un ringraziamento molto profondo che vogliamo fare nostro e che sostenuti dall’aiuto di Maria SS.ma, Madre della Chiesa, vogliamo elevare anche noi a Dio, Amore Infinito.

Fra’ Frisina

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