Mirandolina: donna emancipata e artista della finzione

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Cavaliere: Questa è la prima volta ch’io provo che cosa sia amore.

Mirandolina: Nessuno mi ha mai comandato.

Cavaliere: Non intendo di comandarvi: vi prego.

Mirandolina: Ma cosa vuole da me?

Cavaliere: Amore, compassione, pietà.

Mirandolina: Un uomo che stamattina non poteva vedere le donne, oggi chiede amore e pietà? Non gli abbado, non può essere, non gli credo. (Crepa, schiatta, impara a disprezzar le donne).

Siamo nell’Atto Terzo, Scena VI della celebre commedia “La locandiera” di Carlo Goldoni e per il Cavaliere di Ripafratta è il momento della resa dei conti. Dopo aver passato una vita a disprezzare le donne, si è fatto sedurre da Mirandolina ed è caduto nel tranello che la donna — ferita nell’orgoglio dalla sua misoginia — ha orchestrato appositamente per punirlo.

L’arte della finzione e della seduzione

Per il Cavaliere l’incontro con la locandiera si tramuta in una sconfitta imprevista e sofferta. Una smentita con beffa che vede la vittoria di una vera e propria artista della finzione. La recita che Mirandolina mette in scena per vendicarsi del misogino è un vero e proprio manuale di seduzione. Prima asseconda le sue idee, si mostra servile e amabile, e quando capisce di averlo conquistato lo respinge con freddezza. Non è una questione di bellezza, la riuscita dell’impresa sta tutta nella capacità che la donna ha di trasformare le proprie grazie femminili in un’arma.

Mirandolina si presenta da subito come un personaggio forte, indipendente e sicuro di sé. Veste i panni di una donna emancipata quando ancora di emancipazione femminile non si parlava nemmeno lontanamente. É una lavoratrice che tra una beffa e l’altra agisce per affermare la propria dignità e garantirsi la libertà, la salvezza della reputazione e la salvaguardia dei propri interessi. Nessuno può comandare questa imprenditrice pragmatica e orgogliosa. Ponendosi come esempio di rivalutazione sociale e morale della donna settecentesca, non perde occasione di prendersi il centro della scena. Ed è lei e solo lei il perno della storia, tutto il resto le gira intorno ed è soggetto alla sua manipolazione.

Da servetta a padrona

Forgiata sul tipo tradizionale della “servetta”, Mirandolina ribalta lo stereotipo ergendosi a “padrona”, trasformando la sottomissione in dominio. Come diceva Possenti: «è padrona di locanda, ma è sempre la Corallina della vecchia commedia che non riceve più ordini e, fingendo di riceverli, li dà». L’abilità di Mirandolina di ordinare la realtà a proprio piacimento viene introdotta da Goldoni già nella premessa al testo teatrale: «Io non sapeva quasi cosa mi fare nel terzo, ma venutomi in mente, che sogliono coteste lusinghiere donne, quando vedono ne’loro lacci gli amanti, aspramente trattarli, ho voluto dar un esempio di questa barbara crudeltà, di questo ingiurioso disprezzo con cui si burlano dei miserabili che hanno vinti». 

Non è ben chiaro se Goldoni intendesse davvero criticare la condotta di Mirandolina o se la sua fosse solo un’affermazione antifrastica. Tuttavia analizzando il comportamento della locandiera non si può negare che un pizzico di quel cinismo tipico della classe borghese emerga. Si pensi al matrimonio con Fabrizio. Pur sembrando un’imposizione dell’autorità paterna, di fatto è una scelta compiuta dalla donna per puro tornaconto. Ma questo non basta a strapparle l’apprezzamento del pubblico. Il lettore e lo spettatore capiscono che le sue azioni non sono mosse da crudeltà, ma da una necessità di giusto riscatto e di difesa di una libertà che al tempo una donna non poteva conquistarsi che con l’astuzia. Inoltre l’intelligenza brillante, il buon senso e la femminilità esibita senza alcuna volgarità conferiscono a Mirandolina una simpatia irresistibile; ne fanno un burattinaio amabile in confronto a cui gli altri personaggi sono solo marionette mediocri, fragili e insufficienti.

Foto di Brigitte makes custom works from your photos, thanks a lot da Pixabay

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