L’estate nel cuore

È tempo di fare, di fare, di fare, di correre, di sorridere, di litigare, di sbattere porte, di viaggiare, di fare, di fare, di fare.

È tempo di credere, di sognare, di amare.

È tempo di vivere.

Che si perda nelle pieghe del nulla chi taglia le ali agli angeli e chi se ne infischia dei demoni; chi non corre sotto la pioggia, chi non si asciuga al sole, chi non parla alla luna, chi non si bacia con lo sguardo, chi non sa cosa sia la mancanza, chi non si ubriaca di vino, di whisky e di passione.

È arrivato il tempo delle vacanze.

Come formiche impazzite ci spostiamo da una parte all’altra girando il mondo. Bollini rossi, bollini neri. Non ci ferma niente. Corriamo incontro all’estate e alle emozioni che scalpitano nello scrigno di questa stagione.

Mi viene in mente l’amore.

Per molti l’estate è un nuovo incontro. Per altri è un filo di pensiero che lega due cuori al senso di mancanza. Lontananza. Mi pensi? Ti penso. Mi manca il respiro, mi mancano le tue parole sulle mie labbra. Ti rapirò il cuore con il pensiero in attesa del ritorno.

In entrambi i casi si sogna ad occhi aperti.

A volte capita che il più solerte spegnersi della luce pomeridiana verso il presagio di un buio che inargenta di luna le cime ispide di una montagna, o le acque increspate del mare, o quelle placide di un lago, o la campagna diventi simbolo di un nuovo sentire. È tutto amplificato quando si è in vacanza. Sembra una scia luminosa di nuove emozioni, girandole festose di sentimenti, sbalorditive ondate di attimi indimenticabili, ombre silenziose oltre ogni oblio, che corrono verso un ignoto destino di persistenza o di addio. Ce lo dirà l’autunno.

Vogliamo chiamarlo amore? Perché no? Un nome come un altro, per descrivere il turbamento, la dolce confusione, il palpitante desiderio, il pensiero insistente, l’attrazione.

Quell’improvvisa corrente di sensuali scompigli che, senza apparente ragione, non di rado investe i pensieri, trapassando i corpi con ignota e mirabile intensità, fa di due persone il simbolo di un qualcosa che si avvicina molto all’idea dell’amore.

Designati a stringere tra le braccia un destino che sfugge alla loro stessa comprensione, essi vanno ad abitare un infinitesimo mondo dorato e si lasciano pervadere dal crepuscolo di fuoco di fronte al quale si ergono, in silente contemplazione, con i loro avidi pensieri, le loro bocche affamate di parole e le loro mani distanti e pur vicine, ouverture, forse, d’un futuro gesto d’intimità.

Chi non ha vissuto, almeno una volta, l’esaltante esperienza di guardare prima il tramonto e poi le stelle in compagnia di una persona speciale, perdendosi nel suo sguardo lusinghiero, orlato dalle lievi premesse di un tenero mistero? E chi, almeno una volta, non si è rifugiato da solo sul sentiero argenteo della luna a pensare a qualcuno lontano nello spazio del mondo ma non in quello del cuore? “Assenza più acuta presenza. Vago pensier di te, vaghi ricordi turbano l’ora calma e il dolce sole. Dolente il petto ti porta come una pietra leggera” scriveva Attilio Bertolucci.

È dolce il ricordo capace di riempire gli spazi infiniti che si allungano sulla sera poco prima di dormire, quando un cuscino si fa persona e nei suoi occhi si sceglie di sognare; sì, è un ricordo capace di colmarci interamente così nei giorni di tensione, di solitudine, di malinconia, come in quelli di una nuova allegria, od, impudentemente, persino, tornati a casa, in quelli di lavoro, impegnativi, ruvidi, duri, faticosi, scabri, facendo esclamare a noi tutti, con Prévert, “amo più le tue labbra che i miei libri”!

L’estate della presenza e dell’assenza non è mai un’estate senza anima.

Sì, direi che possiamo chiamarlo amore o possiamo cercare, per esso, nuove parole, ma il senso non cambia. Che duri un’eternità, oppure un attimo, un giorno, una notte, il tempo dorato di una cena, di una sigaretta fumata sotto la luna, di un lungo raccontarsi, di un timido pensarsi, quando muove certi magnetismi, certe suggestioni ed alimenta i ricordi, le più intriganti malie, le seduzioni, credetemi, è così che il cuore lo ricorda, lo reclama, lo impone a se stesso: “L’Amore dà un’impronta alla memoria” scrive la Dickinson, mia grande ispirazione.

A volte, dunque, l’estate serba, nei suoi profumi e nel suo calore, immagini d’una gioia fanciulla, di più intensi tramestii, poco importa se duraturi o fugaci. Ah, sapessi sciogliere con le parole il nodo di tali stupori predaci! Sì, li vergherei con raggi di sole sulle nuvole, sull’aria, sugli alberi, su ogni fiore. Invece temo di non saperli raccontare.

Forse posso provare a dire cosa non sono.

Non sono rapsodie impure di giorni che racchiudono una finzione, una sciocca imitazione di ciò che non si prova, il moto d’un cuore menzognero, o, forse, naufrago nel mare della paura di soffrire, di morire a causa del dardo di Cupido, come accade alla ninfa di Lemoyne.

Non sono pensieri indifferenti a quello stare insieme che, a volte, si prolunga anche dopo essersi salutati ed in breve si rende interprete di un supplemento di dolci pensieri celati in un messaggio di buonanotte, in un bacio lanciato nell’etere da un cellulare, o in un fiore mattutino, in un piccolo dono, una timida espressione per farsi ricordare.

Non sono desideri insensati che nascono da quelle voci salmodianti intenzionate a condurre verso i fasti di una cattedrale qualunque amore, anche quello vacanziero, piccolo, infinitesimale, un feto di poche settimane ancora beatamente immerso nella sua cenestesi prenatale.

Né sono meri incontri di corpi affamati, di orgasmi privi di ogni sentimento, di piaceri mutilati, di godimenti divelti dall’emozione e cercati senza impegno al di là della bellezza, della sensibilità, al di là del vero piacere, tra selve di “cosce-vulcani sotto il ghiaccio delle vesti” come scrive Majakovskij, di “messi di seni mature già per il raccolto”.

Come un contrabbasso che accompagni, lieve, una melodia, irrompendo in essa con subite intrusioni piene di suoni profondi, di intima armonia, accade che l’estate porti con sé un inconsueto gareggiare con se stessi verso le vette del sentire, del sorridere, dell’arrossire, del posare i pensieri su qualcuno, anche quando sia lontano.

Sì, l’estate, come in un sogno shakespeariano, a volte è teatro d’un frizzante balletto silvestre, di una delicata commedia sentimentale e poco importa quanto sia destinata a durare. È vero: molti di questi amori svaniscono, ma, a dirla tutta, non è la loro sopravvivenza che li rende speciali, bensì l’averli vissuti, o l’averli sognati, desiderati, attesi, recando con sé ricordi duraturi chiusi nel cuore: “Allo stesso modo incantano, le parole d’amore, / quando l’albero del piacere è allo schianto: / un sorriso dolce cavano di languore, / tra l’oscurità del dolore e del pianto” scrive Keats.

Buona estate e tanto amore a tutti.

Fonte foto: montagna.net

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