Legge elettorale: verrà finalmente alla luce?

Il varo di una legge elettorale in linea con i principi della Costituzione ed in grado di esprimere un governo possibilmente “di legislatura” è un problema che si è posto – quanto meno – dalle ultime elezioni politiche (2013), quando nessuna coalizione di partiti riuscì a conseguire la necessaria maggioranza nelle due Camere. La problematica si allargò nel 2014, quando la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale gran parte delle disposizioni del cosiddetto “Porcellum”, cioè la legge approvata a suo tempo dal governo Berlusconi e con la quale, l’anno prima, era stato eletto il Parlamento.

Matteo Renzi, quando giunse al governo, varò l’”Italicum”, una riforma che valeva solo per la Camera, perché il Senato era intenzionato ad abrogarlo ma, a questo punto, si registrarono due colpi di scena: a ottobre del 2016, gli elettori bocciarono, con referendum, l’abrogazione del Senato e, nel gennaio 2017, la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale anche una parte delle disposizioni dell’Italicum.

“Rosatellum” 1 e 2

Per superare la situazione di impasse, la primavera scorsa, i tre partiti maggiormente rappresentati in Parlamento – PD, M5S e Forza Italia – si accordarono per un sistema elettorale che, dal nome del suo estensore, Ettore Rosato, fu battezzato dai media “Rosatellum”. Il sistema era proporzionale e ricalcava quello vigente in Germania: i partiti, cioè sarebbero stati rappresentati in proporzione ai voti ottenuti, ferma restando la ferrea regola dello sbarramento del 5% (su base nazionale alla Camera e su base regionale al Senato) che impedisce ai partiti minori di entrare in Parlamento.

Sembrava finalmente l’ uovo di Colombo ma la proposta di un emendamento non concordato da parte del M5S e la clamorosa diffusione dei dati di un voto che doveva essere segreto – ove si palesava il mancato rispetto degli accordi di una parte dei deputati “grillini” – affossò la proposta di legge. Onde evitare, quindi, che in primavera si vada a votare con gli incoerenti brandelli incoerenti, mantenuti in vigore dalla Consulta al testo del “Porcellum”, alcuni partiti stanno tentando di varare una nuova legge elettorale, subito battezzata “Rosatellum 2.0”.

Cosa prevede la nuova proposta di legge

Il Rosatellum 2.0 – su cui c’è accordo tra PD, Area Popolare, Forza Italia e Lega – è un sistema a base proporzionale per l’elezione del 64% dei seggi e a base maggioritaria per il restante 36%. 231 collegi uninominali, infatti, costringeranno i partiti a formare coalizioni, per fare arrivare primo il proprio candidato; si prevede, poi, uno sbarramento al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. Con lo stesso sistema sono eletti i 12 candidati dei collegi esteri.

Nei collegi dove vige il proporzionale, invece, le preferenze ai deputati o ai senatori sono attribuite sulla base di listini comprendenti dai 2 ai 4 candidati. La scheda elettorale sarà unica e conterrà i nomi dei singoli candidati associati ai partiti che li sostengono, con accanto i nomi del listino della relativa circoscrizione. I voti attribuiti direttamente al singolo candidato – non essendo previsto il voto disgiunto – saranno ripartiti proporzionalmente all’interno della coalizione che lo sostiene.

Sarà approvata e, soprattutto, la nuova legge garantirà la governabilità?

Visti i precedenti, tuttavia, non è detto che, anche stavolta, la nuova proposta di legge elettorale riesca a tagliare il traguardo. Il quesito principale, piuttosto, è se riuscirà a garantire la governabilità del paese. Da questo punto di vista, i sondaggi, a poco più di sei mesi dalle prossime elezioni politiche, sembrano dare un responso che difficilmente potrà essere contraddetto.

Nessuna delle possibili coalizioni, infatti, nonostante il maggioritario e lo sbarramento per i piccoli partiti, sembra in grado di conseguire la maggioranza dei seggi in entrambe le Camere. Dalle urne, quindi, non uscirà nessun vincitore e ciò avrà come conseguenza la necessità di ricercare delle super-coalizioni post-elettorali. Un ritorno, insomma, ai sistemi della “Prima Repubblica” con un ruolo rilevante del Presidente della Repubblica e l’attribuzione della Presidenza del Consiglio a figure di mediatori tra i partiti. Ma non è detto che ciò sia un male, perché forse, allora, andava molto bene così.

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