La tentazione della carne

La tentazione

«Che secolo è mai questo, in cui le bistecche vengono considerate porcherie?» si chiedeva nel ’49 Totò in «Totò cerca casa» di Steno e Monicelli.

Negli ultimi settant’anni il consumo della carne si è trasformato nella nostra cultura da simbolo di benessere in comportamento politicamente scorretto.

A questo processo, che vede i carnivori costretti in qualche modo a giustificarsi, hanno contribuito certamente i progressi della scienza alimentare, che hanno evidenziato i rischi per la salute di un consumo eccessivo di carne, ma anche l’evoluzione della morte nel pensiero occidentale: «l’Occidente ha costruito progressivamente uno scenario capace di eclissare la presenza della morte come evento concreto, per allestirne la rappresentazione all’interno di un immaginario funzionale alla rimozione collettiva» (Ines Testoni).

I consumatori di carne, indipendentemente dal loro approccio a questo alimento, sono stati etichettati da una parte del pensiero progressista come «mangiacadaveri» responsabili d’inaudite sofferenze del mondo animale e, riprendendo il pensiero filosofico vegetariano, si è giunti a negare al consumo della carne qualsiasi rapporto con la natura umana.

Il consumo di carne nella storia dell’alimentazione

L’uomo nasce vegetariano? Il Pierolapithecus catalaunicus vissuto circa 13 milioni di anni fa ed i cui resti sono stati rinvenuti in Catalogna nel 2002 è accreditato come l’ultimo antenato comune tra l’uomo e la scimmia e conferma lo stretto legame tra la specie umana e lo scimpanzé, con il quale condividiamo circa il 98% del nostro patrimonio genetico, che è sicuramente onnivoro.

Nella grotta calcarea di Leang Bulu’ Sipong 4, nell’isola indonesiana di Sulawesi, è stata rinvenuta una pittura rupestre di circa 51 mila anni raffigurante una scena di caccia non dissimile a quelle più note e più recenti rinvenute nelle grotte di Lascaux in Francia e di Altamira in Spagna.

Attorno al rito della caccia si sono sviluppati i primi clan e si sono creati i primi riti religiosi con la necessità di sacrificare alle divinità una parte delle prede per ingraziarsene i favori.

Alla nascita dell’agricoltura, che data circa 23 mila anni fa, non ha fatto seguito l’abbandono del consumo di carne: il surplus di vegetali, infatti, è stato utilizzato per attirare e domesticare anche quegli stessi animali (suini e bovini) che inizialmente venivano cacciati innescando quella selezione animale che, assieme a quella vegetale, ha consentito alla specie umana di avere a disposizione il cibo per tutto l’anno ed indipendentemente dalle condizioni ambientali.

L’arte della macelleria

L’arte della macelleria, compendiata nel 1892 nel «Manuale del macellaio e del pizzicagnolo» del Cav. Giuseppe Lancia, presuppone tutta una serie di nozioni specialistiche che vanno dall’anatomia all’igiene, dalle tecniche di maturazione e conservazione a quelle di cottura: la carne è uno di quegli alimenti per cui ci si affida, anche nella grande distribuzione, ad un professionista nella scelta dei tagli più adatti ad ogni preparazione. Ancora oggi, superata la vecchia distinzione tra carne bovina, avicola, cunicola, ovina e equina, permane quella, risalente all’Antica Roma, tra macellai e norcini, il nome con cui s’individuano coloro che lavorano la carne di maiale.

La macellazione rituale

In Italia la forma più diffusa di macellazione rituale è quella ebraica, detta Shecḥitah, che si espleta nella rigida osservanza del Talmud, mentre è più recente quella musulmana che si attiene alla Sunna: kosher e ḥalāl sono due i termini che indicano rispettivamente per ebrei e musulmani quelle carni che, macellate nell’osservanza dei riti, sono considerate lecite, mentre i cristiani si sono liberati già con il Concilio di Gerusalemme (50 d.C.) da ogni pregiudizio legato al cibo.

Il consumo popolare della carne

Secondo un diffuso pregiudizio sino al secondo dopoguerra il consumo di carne bovina, riservata agli abbienti, sarebbe stato precluso alle classi popolari. È vero che le dinamiche dell’allevamento degli ovini, dei conigli e del pollame, che prevedono un unico maschio per molti capi, hanno reso disponibile alla macellazione una notevole quantità di giovani maschi e che lo sfruttamento dei bovini come ausiliari all’agricoltura ha spinto al sacrificio dei bovini solo al termine della loro vita produttiva, ma la carne bovina è sempre stata disponibile anche per il consumo popolare. La discriminazione sociale si esprimeva, piuttosto, sui tagli perché quelli pregiati, la famosa bistecca di Totò, erano riservati ai ricchi.

Nella fascia temperata, comunque, pur ritenendosi quella bovina la carne migliore, l’animale allevato esclusivamente per la sua carne è stato, e per molti aspetti lo è ancora, il maiale. Questo perché il maiale, il cui allevamento è interdetto ad ebrei e musulmani per ragioni religiose, rappresenta, sin dall’antica Grecia, il perfetto esempio di animale da carne per la facilità del suo allevamento, che consente di ottimizzare gli scarti alimentari, la possibilità di conservarne a lungo le carni tramite salagione o affumicatura, ed infine per l’assenza di sprechi, visto che, realmente, del maiale non si butta nulla.

Il futuro del consumo di carne

Nel nuovo millennio il consumo di carne è diventato sempre più consapevole, con il generale rifiuto degli allevamenti intensivi, e moderato anche se la «fettina» ed i preparati restano dei diffusi salvatempo.

Tra i giovani ed i giovani adulti, dopo l’ubriacatura dei fast food degli anni ’80, si sta diffondendo il barbecue, rifiutato dalla cucina tradizionale, che spinge al recupero anche dei tagli minori con i quali mettersi alla prova.

Sostenibilità è la nuova parola d’ordine

Per attuarla senza ricorrere alle carni sintetiche è necessario ampliare la base edibile degli animali sacrificati: alla diminuzione dei consumi, infatti, si accompagna paradossalmente l’aumento del numero dei capi macellati.

Foto di gate74 da Pixabay

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