La cornice del Decameron: dalla Firenze appestata al paesaggio edenico del contado

decameron

L’ «orrido cominciamento» che apre il Decameron di Giovanni Boccaccio introduce uno degli avvenimenti più tragici della storia medievale: la peste del 1348. «Già erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza, oltre ad ogni altra italica nobilissima, pervenne la mortifera pestilenza». Si tratta di un vero e proprio imprevisto, che coglie la città completamente impreparata e spazza via più di un quarto della sua popolazione. 

La peste e la rottura dei rapporti interpersonali

La peste compare nel cuore dell’Asia nei primi decenni del XIV secolo. Da lì si diffonde nel Vicino Oriente lungo le vie commerciali e i movimenti degli eserciti. In Europa pare che importatrici del contagio siano state le navi genovesi di ritorno da Caffa (colonia genovese in Crimea). Qui nel 1347 i genovesi si sono scontrati con i Mongoli, tra cui c’erano degli ammorbati. Le conoscenze mediche del tempo non sono abbastanza sviluppate per far fronte alla malattia e le condizioni igienico-sanitarie precarie si rivelano determinanti per la diffusione del contagio. Come riporta Boccaccio, a Firenze si fa tutto il possibile per bloccare o ridurre gli effetti del contagio («fu da molte immondizie purgata la città da oficiali sopra ciò ordinati e vietato l’entrarvi dentro a ciascuno infermo e molti consigli dati a conservazion della sanità»). Ciò non basta tuttavia a evitare che la peste si propaghi.

Una delle conseguenze più tristi del’epidemia è la disgregazione del tessuto sociale della città. Si assiste a un profondo degrado morale, al dilagare dell’egoismo e della bestialità. La paura di contrarre la malattia determina la rottura di molti legami affettivi e familiari. In diversi casi parenti e amici contagiati vengono abbandonati a loro stessi: «Nacquero diverse paure e immaginazioni in quegli che rimanevano vivi, e tutti quasi tiravano ad un fine assai crudele, ciò era di schifare e di fuggire gl’infermi e le lor cose; e così faccendo, si credeva ciascuno a se medesimo salute acquistare». Chi può dunque fugge ed è proprio ciò che fanno i ragazzi della brigata dei novellatori del Decameron. Sono tre ragazzi e sette ragazze di età compresa tra i diciotto e i ventotto anni che decidono di lasciare Firenze per rifugiarsi nel contado. 

Rifugiarsi nel locus amoenus

Le sette ragazze, abbandonate a loro volta dai loro familiari che o sono morti o sono scappati, si ritrovano un martedì mattina nella chiesa di Santa Maria Novella. Il consiglio di ritirarsi nel contado viene da Pampinea, la più adulta. La ragazza descrive la meta come una sorta di locus amoenus: l’esatto contrario della città spettrale e decadente che è diventata Firenze. «Quivi s’odono gli uccelletti cantare, veggionvisi verdeggiare i colli e le pianure, e i campi pieni di biade non altramente ondeggiare che il mare, e d’alberi ben mille maniere […]. Ed evvi, oltre a questo, l’aere assai più fresco». Poco dopo in chiesa sopraggiungono i tre giovani (Panfilo, Filostrato e Dioneo) che si uniscono alle ragazze nella fuga da Firenze.

L’immagine edenica che Pampinea evoca trova conferma nella descrizione del rifugio bucolico a cui la brigata approda: «Era il detto luogo sopra una piccola montagnetta […] di vari albuscelli e piante tutte di verdi fronde ripiene piacevole a riguardare; in sul colmo della quale era un palagio con bello e gran cortile nel mezzo [..]; con pratelli da torno e con giardini maravigliosi e con pozzi d’acque freschissime e con volte piene di preziosi vini». Qui l’allegria e il divertimento tornano a essere possibili, ma bisogna stare attenti a non incorrere nella smodatezza. Sono infatti necessarie delle regole che impongano di procedere con ordine e razionalità. 

Ritorno all’ordine razionale

In questo spazio dalla bellezza quasi ultraterrena i giovani si trovano così a esercitare l’arte del condurre una vita serena e armoniosa, con norme fisse e una ciclicità regolare che prevede la narrazione di novelle. Dieci novelle al giorno per dieci giorni, che rappresentano il nucleo vivo del Decameron e di cui la vicenda della brigata è la cornice. Una cornice fondamentale nell’economia dell’opera, in quanto è qui che si esprime maggiormente la fiducia boccacciana nelle possibilità dell’uomo di ricostruire un ordine razionale anche nei momenti in cui il caos e la disgregazione sembrano non lasciare scampo. 

Foto di andrea candraja da Pixabay

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