Io e Giuda a Borgio Verezzi

Ho ancora viva in me l’eco degli applausi scroscianti che il pubblico del teatro Gassman di Borgio Verezzi ha tributato al mio Giuda, il testo che ho scritto per Maximilian Nisi (nella foto di Luigi Cerati) e che, il 13 e il 14 agosto scorsi, è stato rappresentato in prima nazionale nell’ambito del 54° Festival teatrale verezzino, grazie alla sensibilità organizzativa di Stefano Delfino, direttore artistico del Festival, e di Renato Dacquino, sindaco di Borgio.

Per me è stata un’emozionante esperienza attraversare quelle serate da protagonista. Gli applausi del pubblico, che Nisi mi ha generosamente chiamato a raccogliere alla fine della prima, i complimenti ricevuti nel foyer, le attenzioni dei giornalisti …

Ho sempre pensato che scrivere equivalga a partorire: il personaggio esce dalla penna e dall’anima dello scrittore per prendere la sua strada, vivere autonomamente. La strepitosa interpretazione di Maximilian me ne ha dato conferma, insegnandomi molte cose che non sapevo sul mio Giuda, e il pubblico stesso ha aggiunto particolari, aspetti inusuali del suo carattere, raccontandomi le sensazioni ricevute nel sentire la sua versione dei fatti, la sua verità. È la magia del teatro: il fruitore del messaggio entra in scena con il suo bagaglio esperenziale; ognuno è spettatore e protagonista al contempo.

Ma non voglio, certo, parlare del mio testo. Il mio intento è raccontarvi i miei giorni con Giuda in quel pittoresco borgo ligure che, in estate, si trasforma in un palcoscenico vivente; un borgo immerso nei sapori inarrivabili della cucina locale, nella gentile accoglienza dei verezzini, nell’eleganza di piazzetta S. Agostino, con il suo magnifico palcoscenico all’aperto, e della sala del teatro Gassman, con le sue poltrone Frau, rosse come i tramonti marini e come la passione per il teatro, che accomuna tutti, da quelle parti.

Piazzetta S.Agostino

Io, Maximilian e il maestro De Meo, che ha composto le musiche originali di Giuda, arriviamo in terra ligure l’11 agosto, due giorni prima dello spettacolo, e incontriamo subito gli altri protagonisti di questa splendida avventura: Marino Lagorio, artefice delle suggestioni visive che accompagnano il monologo, Paola Schiaffino, che ha affiancato Nisi nella realizzazione scenica, Lorenzo Vio, giovane aspirante attore, Cristina Ferrazzi, coordinatrice di questo progetto, Luigi Sironi, che, su disegno dello stesso Nisi, ha sapientemente realizzato l’elegante rivisitazione minimalista di un trono, una sorta di microcosmo sul quale Giuda si siede, si alza, danza, dà vita ad un flusso naturale di movimenti e di stasi che detengono il potere fondamentale del dramma; un luogo dell’anima dove la maschera antica delle passioni e della lotta comunica l’essenza concreta della verità di Giuda. E incontriamo anche tutti gli altri collaboratori del teatro: una grande famiglia con cui dividere amabilmente lavoro e pause, serietà e facezie. L’essenza dello spettacolo e della vita.

Maximilian cura la messa in scena. Non è un’impresa facile. Il testo nasce per essere rappresentato nelle grotte di Borgio, allestimento naturale di quell’aldilà indefinito in cui si trova Giuda, ma l’estate del Covid-19 ha reso impraticabile questa soluzione. L’allestimento scenico è inevitabilmente più complesso, in teatro. Nisi, però, riesce a realizzare un piccolo gioiello che evoca il surrealismo di Dalì. Gli oggetti da me descritti nella scarna didascalia introduttiva al testo sono tre: un sudario, una corda e un teschio. Nisi li concretizza attraverso un sapiente uso delle luci, rendendoli protagonisti assieme a Giuda: presenti, vivi, tangibili, in un mare grigio e nero di indefinita assenza, dove anche gli spazi vuoti hanno un ruolo preciso.

La scena costruita da Nisi è glabra, grigia e severa, come il tormentato paesaggio dell’anima in cui sosta Giuda, ma è tutt’altro che statica. Neppure se Giuda rimanesse immobile, lo sarebbe. È dinamismo puro, è un divenire costante. E la trasformazione avviene attraverso le emozioni.

Le luci, poi, vergano accenti: luci fredde e lapidarie, che tirano fuori dal buio la corda e il teschio, e luci dai toni più caldi che si avvicendano su Giuda in una progressione sfumata che ricorda le “nuove lucerne” di Giovanni Aldini. Nella luce arriva anche un’idea del Cristo che Giuda cerca disperatamente; è una luce più chiara, più filtrata, più evidente; accende colori. La luce è immagine, è il cuore di ogni cosa, come diceva Fellini.

Il teatro Gassman

L’arte teatrale di Nisi è espressiva e critica al contempo; traduce anche nel messaggio scenografico la sventura dell’uomo, la solitudine del peccatore, la coscienza di un Dio invisibile e pur concreto, presente nel dubbio come nelle certezze.

La bellezza è tiranna, a volte: richiede un armonico uso di forme, colori, oggetti, e di costumi che buchino il velo che divide la platea dalla ribalta. Ecco, Nisi ha manifestato una grande familiarità con la bellezza, in questo senso intesa. Mi ha stupita e affascinata con le sue scelte. È riuscito a rendere le mie parole vive non solo attraverso un’interpretazione sublime, ma anche attraverso la scenografia e la scelta del costume, operata in accordo con Tiziana Gagliardi: una tunica che reinterpreta gli abiti d’epoca biblica, offrendo più il senso della nudità che quello della vestizione. Il mio primo pensiero è andato all’ecce homo di Pilato e ben si sposa con la sovrapposizione di Giuda e Gesù che viene spesso sfiorata.

Ad aiutare la difficile realizzazione scenica, le altre due grandi protagoniste: musica e immagini.

Louis-Bertrand Castel, nel Settecento, accostò felicemente lo spettro dei colori al pentagramma: le luci dialogano con la musica. È vero anche nella rappresentazione di Giuda.

La musica è stata composta dal maestro Stefano De Meo per il mio testo e ha un suo linguaggio sensoriale che duetta con le parole. Il piano musicale si fonde mirabilmente con il tema tragico. Sin dal primo giorno in cui l’ho ascoltata, mi è sembrato di iniziare un viaggio verso il mio Giuda, un cammino su sentieri noti e ignoti al contempo. Sonorità oniriche accompagnano i passi dello spettatore che Nisi chiama a sé, ora guardandolo negli occhi, ora voltandogli le spalle, nascosto anche a se stesso dopo l’ignominia subita nei secoli; più delicate melodie accompagnano le parole d’amore che Giuda dedica alla donna; e un gioco ritmico si affaccia a narrare i momenti corali, fino a rallentare in una serie di note cupe che scandiscono la recitazione sincopata dei rimpianti, del dolore, della morte.

Nasce in modo anomalo, il dialogo tra musica ed immagini, che vengono inserite solo in un secondo momento, ma l’efficacia non si perde.

I filmati evocativi di Marino Lagorio, in realtà, sono didascalie fluide e volutamente sfocate chiamate a suggerire impressioni, ad accompagnare le parole, offrendo accenti di colore che, a volte, assomigliano a fendenti in grado di lacerare lo schermo, e, altre volte, a morbide suggestioni.

Grazie a questo concerto di bravure, il mio Giuda ha spiccato il volo.

Una sorta di magia accompagna le prime volte della nostra vita. Tendiamo a ricordarle commossi, a segnarle in rosso nel libro immaginario del passato. Anche io ne ho alcune nel cuore: il primo giorno di scuola, la prima nevicata, la prima volta sul podio nei 400 stile libero, la prima volta che centrai il bersaglio con il 3.57 magnum, il primo amore, è ovvio, il primo esame da studentessa e il primo da assistente universitaria, il primo articolo per un mensile di pugilato, il primo processo vinto, il primo libro pubblicato … Oggi ne ho una in più: il 13 agosto 2020 ho vissuto la mia prima “Prima” ed è stato l’inizio di un’avventura che non smetterò di vivere.

A Borgio dico solo “arrivederci”, sentendo già una grande nostalgia dei suoi colori, dei suoi profumi, del suo vivere lento, scandito dalla risacca di un mare cristallino e dai profili dei monti avvolti nelle nubi bianche di calore. Sì, arrivederci.

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