Il matrimonio cristiano

matrimonio_stranieriLa festa delle nozze è certamente annoverata tra i momenti speciali di questa vita. Essa è una cerniera importante dell’esistenza umana che raccoglie tutto il passato dell’uomo, orientandolo verso una nuova fase della sua vita, un passo necessario affinché la gioia possa essere illuminata da quell’amore che vince la paura di affrontare da soli un futuro che, soprattutto oggi, si prospetta precario per tutti.

Gesù apparteneva ad una cultura che valorizzava molto il matrimonio: le nozze, in ambito ebraico, erano il segno della benedizione di Dio, una grande festa che durava diversi giorni perché si potesse gustare pienamente il significato di un’unione ma rappresentavano anche una forte esperienza di fede, dal momento che il rito di nozze costituiva l’immagine bella dell’alleanza stipulata tra Dio e l’uomo e il momento propizio in cui rinnovare l’attesa del messia. Il famoso racconto evangelico delle nozze di Cana (Gv 2,1-11) si inserisce felicemente in questo particolare contesto ebraico, arricchito anche dal fatto che a questa festa sono invitati anche Maria, Gesù e i suoi discepoli. Durante il banchetto, nel cuore della festa, accade qualcosa di molto insolito: ci si accorge – elemento inconsueto per un banchetto di nozze – che il vino è terminato e che, quindi, la gioia della festa rischia di essere contaminata dall’amarezza di un disagio davvero singolare.

A noi, il messaggio giunge chiaro: la carenza di vino allude certamente alla mancanza di amore che oggi minaccia troppo spesso l’unione sponsale. È Maria, allora, che chiede a Gesù di intervenire in favore di tutti gli sposi; è Maria che sprona, soprattutto le giovani coppie, ad esercitare quell’amore sincero che, fondato nella legge di Dio, tiene lontani ogni tipo di infedeltà, incomprensioni e divisioni. Su invito della Madre, quindi, Gesù trasforma dell’acqua in vino. Attraverso questo meraviglioso prodigio, il Signore offrì a quegli invitati, ignari di ciò che era accaduto, circa seicento litri di vino, un’abbondanza incomprensibile, il segno questo, che nelle pagine della Genesi caratterizza più di ogni altra cosa l’opera della creazione; Dio, infatti, creando l’universo per dare all’uomo un posto all’altezza della sua dignità, gli concede vita in abbondanza. Il grande dono di Cana, inoltre, prefigura l’inestinguibile amore che Dio nutre per l’uomo, ci comunica il suo amore eterno, incommensurabile, un amore che salva. Il miracolo del vino ci fa comprendere cosa significhi ricevere il dono dello Spirito Santo, la cui effusione nel giorno del Battesimo e della Cresima ha rappresentato per tutti noi una nuova abbondanza di vita.

È per questo motivo che, affermando “L’uomo vivente è gloria di Dio” (S. Ireneo), possiamo contemplare in Cristo la verità e il fondamento che è alla base della dignità di ogni uomo; il Padre, infatti, “in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati nella carità, predestinandoci ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo” (Ef 1,4-5). Sia l’affermazione di Ireneo sia quella di Paolo risultano vere solo a partire dal momento della creazione dell’uomo, cioè dal suo concepimento nel grembo materno. Ne consegue che possiamo comprendere ancora meglio la simbologia della carenza di vino come mancanza di amore nella vita matrimoniale: le infedeltà, la violenza, l’aborto, l’isolamento, la separazione, il divorzio, infatti, manifestano subito conseguenze nefaste, tutte a carico dell’istituzione familiare. Nonostante questo triste scenario, la pagina del Vangelo di oggi, che eccezionalmente ospita la presenza premurosa di Maria, interpella la nostra testimonianza cristiana e ci chiede di diventare “servitori di vino buono. È Maria stessa che interpella anzitutto le tante famiglie cristiane a farsi concretamente “prossimo” di altre famiglie in difficoltà (cfr Lc 10,25-37). Il monito che giunge dalla vicenda delle nozze di Cana riguarda anche ogni singolo cristiano.

Fedele al Vangelo di Cristo, l’autentico credente si impegna ogni giorno a vivere unaspiritualità il cui centro è occupato solo da Cristo; il vero cristiano si sforza di considerare la sua vita come un dono esclusivo di Dio da custodire e da valorizzare attraverso lo studio critico delle Scritture, la partecipazione attiva ed attenta alla celebrazione eucaristica, un adeguato inserimento nella vita ecclesiale e laicale, un’attenta partecipazione, sull’esempio di Cristo, ai bisogni di coloro che il Signore ci pone a fianco. Anche il profeta Isaia oggi, attraverso la prima lettura, ci consegna un chiaro messaggio di speranza: “Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata mia Gioia e la tua terra Sposata” (Is 62,4). Gerusalemme è la città “abbandonata” e “devastata” perché essa è stata una sposa infedele, quindi, bisognosa di purificazione attraverso l’esilio a Babilonia; “Sposata”, invece, è il termine che le si attribuisce in seguito all’azione salvatrice di Dio che rappresenta, invece, lo Sposo fedele per eccellenza. Tale simbologia evoca la figura delle nostre famiglie, molte delle quali sono semidistrutte a causa dell’egoismo, altre per la perdita della fede, l’edonismo e il laicismo. Guardiamo Maria, invochiamoLa perché la famiglia umana ritorni ad essere per tutti un punto di riferimento intramontabile, amato, difeso, custodito in nome della dignità umana.

di Frà Frisina

foto: immigrazione.biz

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