Giro d’Italia e le sue salite: è il ciclismo lo sport che ci manca di più

Giro d’Italia. Il calcio, l’automobilismo, il motociclismo ed altri sport hanno ripreso, sia pur faticosamente, l’attività agonistica. Per il ciclismo, invece, tutto tace. Il Giro d’Italia è stato rimandato a data da destinarsi e, forse, quest’anno nemmeno si disputerà. Era accaduto soltanto in concomitanza delle due guerre mondiali.

Ci mancano le sue salite. Quei percorsi dalle pendenze impossibili, spesso tra due muraglie di neve, dove si imponeva il più forte. Ma il ciclismo è lo sport della nostalgia. Quello che più di ogni altro ci riporta alla memoria i grandi campioni del passato. I campioni e le grandi salite che li resero immortali. Ecco le più memorabili.

Giro d’Italia 1956, la tappa più terribile della storia

Il 1956 fu l’anno della nevicata del secolo. Quella cantata quarant’anni dopo da Mia Martini. L’evento si ebbe in febbraio ma quando il Giro giunse a Merano, le montagne erano ancora innevate. L’arrivo del tappone era previsto sul Monte Bondone,  dopo quattro colli percorsi sotto la pioggia e il vento. Sul Bondone si scatenò la bufera. La pioggia si trasformò in nevischio e la temperatura scese progressivamente. I ciclisti, per procedere, erano costretti a percorrere le strisce nere lasciate sulla neve dalle macchine che li precedevano.

La maglia rosa Fornara preferì ritirarsi. Insieme a lui altri 42 ciclisti su 86 partenti. La temperatura, in quota, era scesa a quattro gradi sottozero. Sul traguardo giunse primo ma sull’orlo del collasso lo scalatore lussemburghese Charlie Gaul. Conquistò la maglia del primato ma i medici dovettero immergerlo in una vasca d’acqua bollente  per farlo riprendere. Gli dovettero tagliare la maglietta con le forbici, essendo ridotta a una corazza di ghiaccio. Impresa nell’impresa fu quella di Fiorenzo Magni. Con una spalla fratturata resse il manubrio con un tubolare stretto fra i denti.

Il Mortirolo, la montagna di Marco Pantani e di Fabiana Luperini

Dal 1990 la montagna che è divenuta uno spauracchio per i ciclisti è il Mortirolo. Prima di allora non era mai stata inclusa nel percorso del Giro perché priva di una strada asfaltata. Sono 12,5 chilometri in provincia di Brescia per un dislivello di 1300 metri. La pendenza media è di circa l’11% con punte fino al 18%. Nel 1994 il giovane Marco Pantani lo scalò in solitaria. Staccò avversari più quotati come lo spagnolo Indurain, Claudio Chiappucci e la maglia rosa Evgenij Berzin.  Questi giunse al traguardo con 4’06 di ritardo dal romagnolo ma riuscì a conservare la maglia rosa.

Dopo questa impresa, il Mortirolo è ricordato come la montagna di Marco Pantani. Nel 2006 gli è stato anche eretto un monumento, nell’atto di scattare, guardando indietro verso gli avversari. In realtà la prima atleta a “domare” la terribile salita è stata una donna. Stiamo parlando dell’immensa Fabiana Luperini. L’unica atleta (maschi compresi) ad aver vinto per tre  anni consecutivi Giro e Tour nella stessa stagione.

Anche negli Appennini c’è una scalata durissima per qualsiasi ciclista. E’ la Maielletta-Passo Lanciano, che termina con il rifugio del Blockhaus, a 2145 metri slm. Il dislivello complessivo è di oltre duemila metri. Gli ultimi 13,5 km hanno una pendenza media del 10,5% con punte del 14,5%. E’ la montagna in cui rifulse la classe dello spagnolo Manuel Fuente nel Giro 1972. Si parlò di lui di un nuovo Charlie Gaul e come l’avversario più accreditato del grande Eddie Merckx. Purtroppo lo spagnolo era fortissimo in salita ma spesso, in pianura, prendeva distacchi incolmabili. Quell’anno arrivò primo anche sullo Stelvio. Poi, alla fine, il Giro d’Italia lo vinse ancora Merckx.

Lo Stelvio, la montagna più alta del Giro dove vinse l’uomo solo al comando

Non si può parlare di salite al Giro d’Italia senza menzionare lo Stelvio. E’ il più alto passo d’Europa, con 49 tornanti da percorrere  sino a 2750 metri slm. Qui nel Giro 1953, Fausto Coppi compì una delle sue più memorabili imprese. Il giorno prima non era riuscito a staccare l’astro nascente Hugo Koblet, che aveva conservato la maglia rosa sino al traguardo di Trento. Allora non c’era il collegamento televisivo ma solo quello radiofonico. Quando la radiocronaca iniziò, il telecronista Mario Ferretti annunciò a milioni di italiani il grande evento: «C’è un uomo solo al comando. La sua maglia è biancoceleste. Fausto Coppi!». Il campionissimo dette a Koblet un distacco abissale e vinse così il suo quinto Giro d’Italia.

Lo Stelvio fu la montagna che assegnò la vittoria anche nel Giro d’Italia 1961. Chi scrive stava terminando la seconda elementare e fu la prima volta che vide il ciclismo in televisione. La tappa fu vinta dall’imbattibile Charlie Gaul ma la maglia rosa Arnaldo Pambianco, arrivò secondo. Staccò di circa un minuto il campione francese Jacques Anquetil facendolo desistere da ulteriori sogni di gloria.

Coppi a parte, la più suggestiva scalata dello Stelvio si ebbe, forse, nel Giro del 1975. La scalata fu calendarizzata come arrivo finale di tutta la corsa. Gli organizzatori fecero passare i corridori per uno stradello sterrato non percorribile dalle macchine delle case. Tanto che, in caso di foratura, i meccanici furono costretti a raggiungere i loro assistiti a piedi e con la bici di riserva in spalla. La maglia rosa era incredibilmente sulle spalle del semisconosciuto Fausto Bertoglio, approfittando delle défaillances dei favoriti. Solo lo spagnolo Francisco Galdós lo seguiva in classifica a una quarantina di secondi. Grande scalatore ed erede del mitico Manuel Fuente, lo spagnolo pensava di fare un sol boccone del piccolo italiano. Vinse la tappa ma non riuscì a staccare Bertoglio che fu l’unico a resistergli sino all’arrivo. E fu l’unica volta che si vide un vincitore di tappa tagliare il traguardo sconsolato e il secondo arrivato esultare a braccia alzate, perché aveva vinto il Giro d’Italia.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.