Charles Baudelaire: il sentimento dello spleen e la città metropolitana  

Charles Baudelaire

La poesia Spleen della raccolta I fiori del male (1857) di Charles Baudelaire termina con la suggestiva immagine di «lunghi funerali» che sfilano lentamente dentro l’anima vuota senza né tamburi né musica. È la desolazione che resta dopo che la luminosa «Speranza» è stata sconfitta dall’«atroce Angoscia», la quale a suggello della propria vittoria pianta «il suo vessillo nero». Terreno di scontro di questa battaglia apocalittica tra bene e male è il «cranio» del poeta, la sua mente. 

L’angoscia, la speranza e lo spleen rappresentato dai funerali creano dinamiche interiori che si esplicano attraverso immagini concrete, spesso impoetiche e disturbanti. Si pensi alla terra che viene paragonata a una «cella umida» da cui non si può uscire nemmeno volando; al cielo che assume la consistenza di un coperchio che «pesa greve e basso sull’anima gemente». Ma soprattutto si pensi alla speranza che un tempo veniva deificata e  adesso, nella poesia di Baudelaire, viene accostata all’immagine di un «pipistrello che la testa picchia su fradici soffitti».

La metropoli e lo spleen 

Ormai i paradisi sono perduti per sempre e la poesia non può più essere il portale magico che consente brevi soggiorni nell’Eden allo scopo di estraniarsi momentaneamente da una realtà difficile. Quello che si può fare è «estrarre la bellezza dal Male» e rassegnarsi a muoversi nel paesaggio tetro e artificiale della metropoli industriale. Un luogo marcio segnato dal tramonto dei valori e dalla logica del profitto. Un contesto che riflette pienamente il disagio provato da Baudelaire nei confronti della società post-rivoluzione industriale che lo ha contaminato con i suoi disvalori. 

Baudelaire per primo infatti sperimenta il vizio più immondo della società moderna: la noia, quella che «potrebbe ingoiare il mondo in uno sbadiglio» decretandone la fine ingloriosa. Essa è uno degli ingredienti di un sentimento più complesso, lo spleen: uno stato di depressione cupa che mescola la noia con il disgusto per la grande metropoli moderna e per la vita borghese. Lo spleen non è protagonista solo della poesia omonima, ma di tutta la prima sezione di I fiori del male, Spleen e ideale.

L’ideale e il conflitto con la società

Se lo spleen è sintomo della miseria umana, l’«ideale» è il richiamo alla purezza, alla spiritualità e, in generale, alla bellezza poetica. Il poeta sente gli alti cieli dell’immaginazione e dell’ingegno come il proprio habitat naturale. La terra lo fa inorridire e gli sta stretta. Questo perché sua sensibilità e la sua fantasia lo rendono diverso dagli uomini comuni e inadatto alla loro vita prosaica. In questo mondo di merce e profitti il poeta si sente intrappolato come il pipistrello di Spleen, o come il grande uccello marino descritto nella poesia L’albatro: un re dei cieli che sa volare alto ma che una volta costretto a terra «con le sue ali da gigante non riesce a camminare».

Foto di Hà Phạm da Pixabay

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