Accogliere l’amore in un contesto di gratuita reciprocità

abbraccio

Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv15,17). Ciò che ci viene narrato nella prima lettura (At10,25ss) è la vera attualizzazione del messaggio evangelico di oggi, centrato sull’amore.

 

Un amore però, simile a quello che caratterizza il rapporto tra Dio e Gesù, tra Gesù e ciascuno di noi: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. (Gv 15,9) Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi” (Gv15,11). Tutto ciò è un importante programma di vita e le modalità per attuarlo le riscontriamo nel “come ha amato Gesù cioè, in modo totale ed universale.

 

Ci invita il vangelo ad attuare un compito così gravoso, puntando però ad esternare gioia: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv15,11). La gioia, carissimi, è uno dei frutti dello Spirito Santo e un dono da chiedere continuamente nella preghiera. Il vangelo, pur sottolineando la necessità di vivere un amore che porti frutto, ricorda anche che all’origine delle nostre richieste c’è sempre l’iniziativa di Dio: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. (Gv15,16) Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamati amici” (Gv15,15). La vita di fede, infatti, è certamente un impegno ma è anche espressione di amore capace di creare tra noi e Dio una straordinaria intimità.

 

Leggiamo la seconda lettura: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio” (1Gv 4,10). No, non è affatto retorica! Tali espressioni trasmettono un’idea del rapporto tra l’uomo e Dio molto diversa da quella che invece propongono le altre religioni. L’impegno che viene chiesto ai cristiani è, prima di tutto, quello di accogliere l’amore in un contesto di gratuita reciprocità. Insomma, ognuno di noi ha la grazia di potersi considerare, in Cristo, “amico” di Dio. Il rapporto che ci lega a Dio, quindi, non è quello della prestazione, relazione questa, tipica tra il servo e il padrone, ma è quello dell’amore, una caratteristica propria delle persone libere, capaci di fare una scelta e rimanervi sempre fedeli. A questo punto, chiediamoci se l’amore si può comandare! No, l’amore non può essere oggetto di un comando perché esso prende tutto: cuore, mente, sensi, spirito.

 

Gesù, quindi, parla alla nostra totalità (corpo-cuore-mente-spirito) e sa bene che prima esiste l’amore e poi la legge. Il comandamento di Gesù, infatti, è preceduto dalla descrizione di un amore profondissimo che lo lega al grembo del Padre. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”. Gesù ci vuol dire che l’amore del Padre non è un amore part-time ma un amore che “rimane” e rimanere per sempre nel cuore di una persona è il sogno di tutti. I nostri amori, infatti, sono tutti un po’ part-time, nonostante Gesù ci chieda di rimanere nell’amore. La vita di famiglia in questo caso è fondamentale perché è una valida scuola, più di ogni altra, dove poter apprendere l’arte di amare e il grande valore di scoprirsi l’uno responsabile dell’altro. Si scopre cioè di amare veramente: l’amore, infatti, è tale perché non ha causa cioè, siamo amati e amiamo non perché lo meritiamo o perché l’altro lo meriti, ma perché il fratello mi ama ed io, quindi, lo amo gratuitamente.

 

A questo punto capiamo quanto sia impagabile l’amore gratuito e perchè S. Paolo può affermare che l’amore non finirà mai. Gesù conosce i suoi discepoli, conosce la nostra umanità e per questo, comandandoci di rimanere nell’amore”, ci chiama amici e ci svela il segreto dell’amore: dare la vita per i nostri amici”. Questa massima vale per tutti e ad ogni livello. Di amore, di accoglienza ci parla anche l’episodio narrato nella prima lettura (At10,25ss.) che segna una grande svolta nella chiesa delle origini. In questo capitolo degli Atti si narra, infatti, della conversione del pagano Cornelio. In realtà, si nota una certa ironia in quanto Cornelio, oggetto di una visione angelica, aderisce subito a ciò che gli viene chiesto e manda a chiamare Pietro, mentre quest’ultimo resiste almeno tre volte all’invito che gli viene rivolto in sogno dalla voce celeste. Sarà Cornelio poi a spiegare all’Apostolo il senso di ciò che lo aspetta.

 

Pietro e Cornelio, insomma, hanno bisogno l’uno dell’altro per comprendere la Parola di Dio e ciò perché l’opera di evangelizzazione non è mai unidirezionale ma reciproca. Un altro elemento degno di nota è il fatto che in casa di Cornelio, considerato un pagano impuro, si ripeta il miracolo della Pentecoste. I fedeli circoncisi, infatti, “si meravigliarono che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo”. Lo Spirito precede sempre la chiesa, che però qui, nella persona di Pietro e di quelli che l’avevano accompagnato, si lascia convertire da quelle vedute ancora in parte ristrette. Pietro e i suoi, Cornelio e la sua famiglia, imparano, ricevono e danno qualcosa ognuno all’altro.

 

Si tratta di una lezione alla quale tornare tutte le volte che anche nelle nostre comunità si stilano graduatorie in base a presunti meriti da far valere contro gli altri, per sentirsi migliori, più impegnati, giusti. Rimaniamo nell’amore, nel pensiero consolante che “Dio è amore”. Il comandamento di Gesù non ci schiaccia come la legge, ma ci fa intuire la profondità del dono di sé stessi. “Un corpo mi hai dato. Allora ho detto ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Sal 40). Maria nostra Madre ce lo insegni per poter camminare con Lei incontro a suo Figlio Gesù, via, verità e vita.

 

Fra’ Frisina

 

Foto: partecipiamo.it

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